I grandi della Nazionale di calcio: Dino Zoff, capitano gentiluomo.
Dino Zoff, capitano gentiluomo, è nato a Mariano del Friuli il 28 febbraio 1942. Come giocatore ha ricoperto il ruolo di portiere, ma è stato anche un grande allenatore e dirigente. Tra i successi raggiunti in carriera si ricordano il Campionato Mondiale FIFA del 1982, in cui era il capitano, e il Campionato Europeo del 1968, (riserva di Albertosi e Vieri). Ha poi conseguito il secondo posto, come Commissario Tecnico, al Campionato Europeo del 2000, e una lunga serie di successi con squadre di club.
Temperamento in campo
Dino Zoff è sempre stato un uomo riflessivo e moderato. Ha vestito la fascia da capitano in un ruolo insolito, quello di portiere, quando si diceva che il capitano dovesse stare vicino all’azione. Ma per lui l’autorevolezza era un fatto di carisma, non di aggressività. Raramente lasciava la porta per andare a discutere con l’arbitro, perché, il capitano, nel suo modo di concepirlo, è un punto di riferimento per i compagni, più che il portavoce dei malumori della squadra.
Leader silente in campo, era sovente una coperta di Linus fuori dal campo. Sono molti i compagni che lo ricordano come capace di dare serenità e infondere fiducia. Dobbiamo pensare che, al tempo, i ritiri pre partita erano diversi da oggi. Non c’erano smartphone e social network, e in alcuni alberghi, specie all’estero, un telefono nella hall era già gran lusso. Così, nelle lunghe ore prima della partita, i giovani (Marco Tardelli, ad esempio) anelavano avvicinare il Capitano, stare un po’ con lui, respirare la sua tranquillità.
Dino Zoff vacillò una sola volta, in quella che fu la parata più epica, della partita più epica, della sua epica carriera. Dopo il colpo di testa di Oscar, in Italia-Brasile del 1982. Chi c’era se lo ricorda, ma gli appassionati di calcio più giovani, dovrebbero conoscere quella partita, come gli studiosi di filosofia conoscono gli autori classici, anche se vissuti secoli prima di loro.
Al tiro di Oscar, Dino Zoff afferrò con un guizzo la palla, la schiacciò a terra, e se la portò al petto. Ma alcuni brasiliani alzarono le braccia, in segno di giubilo. Per un istante leggemmo il terrore negli occhi del portiere, che non vedeva l’arbitro, e non sapeva se avesse fischiato il gol oppure no. Tutti gli italiani sanno come finì, quindi altri dettagli esulano da questo scritto. Ciò che conta qui, è la personalità pacata, ma sicura di sé e mai remissiva del grande Zoff. Leader nel compito, ma senza dubbio anche leader nel gruppo, personaggio straordinario di un calcio fatto da quelle “bandiere”, che oggi non esistono più.
Immagine presso il pubblico
Bandiera, dicevamo. Ma cosa significa, questo, nel caso di Dino Zoff? Un altro frame iconico di quell’estate 1982, ritrae una partita a carte. In quegli anni così difficili per il Paese, non si può immaginare qualcosa di più familiare: un gruppo di amici e una partita a scopone. Siamo sul volo che riporta in Italia la nazionale, e il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, gioca, e gesticola animatamente, con il CT, Enzo Bearzot, Franco Causio, e il capitano, Dino Zoff.
L’immagine che il pubblico conserva del capitano, è la seguente. Nel cuore della partita, ad un tratto, parte una polemica: accesa, come solo noi italiani sappiamo fare. Hai sbagliato tu, dovevi buttare la tale carta! Io?, Avrai sbagliato tu, che dovevi fare un’altra mossa! E via dicendo. Ebbene, davanti alle telecamere il Presidente Pertini, prima lascia passare un sette, e poi accusa il nostro di averlo fatto perdere. Soltanto i quattro al tavolo conoscono la verità: l’errore è chiaramente di Pertini. Allora Dino Zoff, dopo aver sfoderato per settimane, la sua classe come portiere, sfodera la classe del gentiluomo: “Per rispetto al Presidente”, disse in seguito “mi presi la colpa.”. Cosa aggiungere?
Ci sarà un seguito, una lettera del Presidente al capitano, l’anno seguente. Ma questo non cambia l’immagine che il pubblico si porterà di questo personaggio cristallino, immagine che non appartiene soltanto al nostro calcio, ma senza dubbio anche alla nostra cultura popolare.