Alessandro Baricco, il nostro classico
È stato con un misto di commozione e gratitudine che ho accolto Abel, il nuovo libro di Alessandro Baricco. Con l’occasione vorrei definire, se non il peso specifico, almeno le coordinate della figura di Baricco nel nostro tempo. E arrivare, così, ad affermare, che se non possiamo ancora chiamarlo classico, poco ci manca.
Il Max Biaggi della cultura italiana
Baricco è stato sovente definito il Max Biaggi della cultura italiana. La presenza di Umberto Eco, il gigante per eccellenza, sul suo stesso palcoscenico, ne ha inevitabilmente adombrato la fama, per molti anni. Così, è proprio oggi che Eco non c’è più, e la cultura italiana è costellata di acculturati faziosi e rancorosi, che riscopriamo il talento smisurato di Alessandro Baricco.
Scrittore, drammaturgo, fondatore di una “scuola per narratori”, Baricco è forse il nostro ultimo vero intellettuale. L’uomo di intelletto non è colui che va in tv a dire come educare i figli, scrive libri in difesa di gente indifendibile, o si affaccia ai balconi ad annunciare la fine (o il tramonto) del nostro tempo. L’intellettuale fa cose.
Toccare le coscienze è un fatto di talento, e proprio questo stupisce di Alessandro Baricco, il suo smisurato talento, specie se paragonato ai contemporanei. Pensiamo per un attimo a Herman Hesse, alla sospensione del tempo interiore nei suoi libri. Intere generazioni hanno amato Il lupo della steppa, Tempo di fieno, o lo sfortunato Peter Camenzind. E li hanno amati perché da quei libri hanno ricevuto qualcosa.
Scommetto che tutti noi ricordiamo almeno un’immagine di Siddharta, e ricordiamo anche l’epoca in cui lo abbiamo letto per la prima volta. Perché i classici sono sempre attuali, se non altro dentro di noi.
Fuoriclasse, e fuori dalla classe
Alessandro Baricco è un fuoriclasse assoluto, come Hesse, Hemingway, o Michael Ende. La sua opera supera il tempo, ci emoziona, e soprattutto ci interroga. In questo differisce dai contemporanei, che non gettano domande, ma sparano risposte. Soltanto che quelle risposte, che loro sentono buone, non lo sono necessariamente per tutti noi.
La grande opera artistica e intellettuale, e qui ci torna utile Umberto Eco, è più simile al Pendolo di Foucault, che apre, stimola, inquieta, che non al consiglio generico “Va dove ti porta il cuore”, che riempie di sicurezza, e lascia addormentare sereni. O se vogliamo, è più simile ad una seduta di psicoterapia, in cui le certezze vengono messe in dubbio, non fortificate.
“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.” Scelgo questo segmento, non me ne vogliano i fans, a emblema dell’intera opera di Alessandro Baricco. In questa scansione di Castelli di rabbia c’è più di una frase fatta: c’è un progetto di ricerca che è filosofica, spirituale, ma anche psicoanalitica. Perché i libri che fanno dormire sereni, sono più simili ai fumetti che ai grandi romanzi. E poi c’è una sensazione: che uscito dall’ombra di Umberto Eco, daremo finalmente a Baricco ciò che è di Baricco. Ovvero, che se non possiamo ancora chiamarlo classico, in fondo, poco ci manca.