Apprezzo molto gli sforzi di Dario Fabbri, e del movimento culturale da lui creato, di chiarire le dinamiche storiche attraverso una nuova teoria geopolitica. Non sono un cultore della materia, e non commenterò nel merito, ma posso affermare che il successo di popolarità del suo lavoro è dato anche da una piccola, ma coraggiosa, innovazione. Egli rimette l’inconscio al centro del funzionamento degli esseri umani, e anzi ne evidenzia il ruolo di guida, per quanto sotto traccia, di tutta la loro condotta.
Geopolitica umana, o inconscio?
Il lavoro dello studioso romano muove dalla convinzione che i popoli abbiano un’ identità profonda che ne determina le scelte strategiche, scelte che sarebbero indotte, più da aspetti istintuali, primordiali, che dalla ragione, o, peggio, dai leader, questi ultimi, a suo parere, totalmente irrilevanti.
Ora, posto che, come detto, non ho titoli per commentare scientificamente questa posizione, vorrei, però, evidenziare quanto segue. Ciò che Fabbri chiama la “cifra antropologica” di un popolo, o di un individuo, si avvicina molto a quello che la psicoanalisi definisce inconscio. Ossia, l’assunto per cui il nostro comportamento è fortemente influenzato da quella parte della nostra mente che sfugge all’attenzione (diretta) della nostra mente.
La cultura scientista di cui siamo intrisi, che muove dalla necessità di trovare certezze che tornino utili al nostro vivere quotidiano, più che da quella di sviluppare competenze strategiche, ha man mano espulso l’inconscio dal nostro orizzonte. Tuttavia l’inconscio continua a esistere, e a influenzarci, anche quando lo ignoriamo, e bravo Fabbri ad averlo fatto notare. Affermare che non siamo realmente padroni di noi stessi, perché i condizionamenti interni ci guidano al di là del nostro volere razionale, infatti, converge con gli assunti di base della Geopolitica Umana.
Per quale motivo, quindi, Fabbri deve arrendersi a questa verità? La psicoanalisi è stata un terremoto nella storia del pensiero. Non tanto perché abbia portato novità alla logica, all’epistemologia, e alle altre arti parti della filosofia. Ma perché ha prodotto uno sguardo diverso sull’uomo che indaga, e sulla mente, che egli usa per compiere tale operazione. Se l’io non è padrone in casa sua (Freud), se le nostre scelte non sono veramente libere, perché condizionate dall’inconscio, il dipartimento di filosofia si trasferisce nella stanza di analisi. Non c’è più una metafisica, potrebbe dire qualcuno, ma ci sono tante metafisiche quanti sono i soggetti pensanti, e così via.
Rileggere i movimenti della storia in base a costrutti culturali arcaici, preverbali, ossia a quegli asset identitari che assorbiamo dall’ambiente prima ancora che sia la nostra mente a produrli, è posizione molto saggia. Ci ricorda che persino quando ci iscriviamo all’università, non sappiamo se lo stiamo facendo per noi stessi, o per soddisfare l’aspettativa che altri hanno su di noi.
Conflitti interiori
L’inconscio agisce dentro di noi, ma non è altro da noi. È quella serie di discorsi che abbiamo sempre avuto in fondo alla nostra anima, anche quando non li abbiamo voluti ascoltare. È il nonno che diceva: “Conta sempre il resto del negoziate, non farti fregare”. O l’allenatore che gridava da bordo campo: “Sei un idiota, non arriverai mai in Serie A!”. L’inconscio è una narrazione, una teoria su noi stessi, e che difficilmente riusciamo ad abbandonare, anche quando affermiamo con tutte le forze di volerlo fare.
E allora come affrontare questo inconscio? Qui la mia visione di terapeuta si discosta da quella di Fabbri, che ritiene, sostanzialmente, non ci sia niente da fare. Se i condizionamenti sono freni che vengono dal passato, se li sentiamo stridere con il nostro presente, se ci fanno soffrire, allora si possono smontare. Freud amava citare Michelangelo, che vedeva già la sua opera d’arte nel blocco di marmo. Basta levare il marmo in eccesso, diceva, per liberarne la scultura imprigionata. Così Freud aveva trovato una teoria, e poi una tecnica, che agiva “per via di levare”, ossia che non intendeva la cura come un “mettere” qualcosa nella mente del paziente, ma soltanto come un togliere il marmo in eccesso.
Se Fabbri ha avuto il merito di riportare l’inconscio in primo piano nella cultura occidentale, però, a questo punto non possiamo fermarci. Dobbiamo ammettere che con la giusta teoria, e la giusta tecnica, saremo in grado di superare ogni impasse, di smontare ogni freno che arriva dal passato, di liberare la nostra scultura imprigionata nel blocco di marmo. Per fare questo sarà necessario abbandonare un po’ di quella cultura scientista di cui siamo intrisi, e tornare a familiarizzare con i concetti più classici della psicoanalisi. Chissà che in questa epoca di smarrimento, non ci aiuti a trovare una strada, o quantomeno una direzione in cui cercarla.