Torino e il Salone del Libro.
Eccolo, è arrivato anche quest’anno. Il Salone del Libro è la spunta blu della torinesità, il party da cui passare tutti almeno una volta, l’evento meno attesto, ma proprio per questo, il più partecipato. Nato alla fine degli anni Ottanta, sul crepuscolo della vicenda industriale, il Salone del Libro è, insieme al Torino Film Festival, il vero è proprio “We will meet again” dei tornesi.
Ogni volta mi stupisco a vedere tanto contenuto entusiasmo, tanta abnegata adesione, tanto intellettuale understatement. E non è un caso, se, per capirlo, lo devo associare al TFF. Sì, perché la torinesità è sostanza senza fronzoli, è fare l’arrosto senza troppo fumo. Altre città sono più brave col fumo, e senza dubbio ci vuole anche quello, ma sotto la Mole lo consideriamo pacchiano: è un fatto di pudore, di modestia.
Leggere un libro, come guardare un film, si fa nel silenzio, tra sé e sé. E poi lascia una scia luminosissima, che anche quella si tiene per sé. Ecco perché andiamo al Salone del Libro, per gli stessi motivi per cui amiamo il TFF, perché leggere ci dà tantissimo, ma possiamo non dirlo a nessuno.
Così Torino è ripartita, e riparte ogni anno, dal Salone del Libro. Un libro che si apre, del resto, fa più rumore di un cannone che spara. Non mi ricordo, ma forse anche di questo, aveva già detto Mozart.