I grandi della Nazionale di calcio: Dino Zoff, capitano gentiluomo.

Dino Zoff, capitano gentiluomo, è nato a Mariano del Friuli il 28 febbraio 1942. Come giocatore ha ricoperto il ruolo di portiere, ma è stato anche un grande allenatore e dirigente. Tra i successi raggiunti in carriera si ricordano il Campionato Mondiale FIFA del 1982, in cui era il capitano, e il Campionato Europeo del 1968, (riserva di Albertosi e Vieri). Ha poi conseguito il secondo posto, come Commissario Tecnico, al Campionato Europeo del 2000, e una lunga serie di successi con squadre di club. 

Temperamento in campo

Dino Zoff è sempre stato un uomo riflessivo e moderato. Ha vestito la fascia da capitano in un ruolo insolito, quello di portiere, quando si diceva che il capitano dovesse stare vicino all’azione. Ma per lui l’autorevolezza era un fatto di carisma, non di aggressività. Raramente lasciava la porta per andare a discutere con l’arbitro, perché, il capitano, nel suo modo di concepirlo, è un punto di riferimento per i compagni, più che il portavoce dei malumori della squadra.  

Leader silente in campo, era sovente una coperta di Linus fuori dal campo. Sono molti i compagni che lo ricordano come capace di dare serenità e infondere fiducia. Dobbiamo pensare che, al tempo, i ritiri pre partita erano diversi da oggi. Non c’erano smartphone e social network, e in alcuni alberghi, specie all’estero, un telefono nella hall era già gran lusso. Così, nelle lunghe ore prima della partita, i giovani (Marco Tardelli, ad esempio) anelavano avvicinare il Capitano, stare un po’ con lui, respirare la sua tranquillità. 

Dino Zoff vacillò una sola volta, in quella che fu la parata più epica, della partita più epica, della sua epica carriera. Dopo il colpo di testa di Oscar, in Italia-Brasile del 1982. Chi c’era se lo ricorda, ma gli appassionati di calcio più giovani, dovrebbero conoscere quella partita, come gli studiosi di filosofia conoscono gli autori classici, anche se vissuti secoli prima di loro.  

Al tiro di Oscar, Dino Zoff afferrò con un guizzo la palla, la schiacciò a terra, e se la portò al petto. Ma alcuni brasiliani alzarono le braccia, in segno di giubilo. Per un istante leggemmo il terrore negli occhi del portiere, che non vedeva l’arbitro, e non sapeva se avesse fischiato il gol oppure no. Tutti gli italiani sanno come finì, quindi altri dettagli esulano da questo scritto. Ciò che conta qui, è la personalità pacata, ma sicura di sé e mai remissiva del grande Zoff. Leader nel compito, ma senza dubbio anche leader nel gruppo, personaggio straordinario di un calcio fatto da quelle “bandiere”, che oggi non esistono più. 

Immagine presso il pubblico

Bandiera, dicevamo. Ma cosa significa, questo, nel caso di Dino Zoff? Un altro frame iconico di quell’estate 1982, ritrae una partita a carte. In quegli anni così difficili per il Paese, non si può immaginare qualcosa di più familiare: un gruppo di amici e una partita a scopone. Siamo sul volo che riporta in Italia la nazionale, e il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, gioca, e gesticola animatamente, con il CT, Enzo Bearzot, Franco Causio, e il capitano, Dino Zoff. 

L’immagine che il pubblico conserva del capitano, è la seguente. Nel cuore della partita, ad un tratto, parte una polemica: accesa, come solo noi italiani sappiamo fare. Hai sbagliato tu, dovevi buttare la tale carta! Io?, Avrai sbagliato tu, che dovevi fare un’altra mossa! E via dicendo. Ebbene, davanti alle telecamere il Presidente Pertini, prima lascia passare un sette, e poi accusa il nostro di averlo fatto perdere. Soltanto i quattro al tavolo conoscono la verità: l’errore è chiaramente di Pertini. Allora Dino Zoff, dopo aver sfoderato per settimane, la sua classe come portiere, sfodera la classe del gentiluomo: “Per rispetto al Presidente”, disse in seguito “mi presi la colpa.”. Cosa aggiungere? 

Ci sarà un seguito, una lettera del Presidente al capitano, l’anno seguente. Ma questo non cambia l’immagine che il pubblico si porterà di questo personaggio cristallino, immagine che non appartiene soltanto al nostro calcio, ma senza dubbio anche alla nostra cultura popolare. 

L’individualismo narcisista

Nel nostro tempo è sempre più diffuso un tipo di individualismo che non ha a che vedere con la brama di potere, o con la volontà di primeggiare sugli altri, ma con una chiara pretesa di superiorità. Possiamo definire questo modo di vedere sé stessi in mezzo agli altri come “individualismo narcisista”, (o meglio, narcisistico). 

L’individualismo competitivo 

Il narcisismo è una modalità relazionale patologica, dal momento in cui la struttura di personalità di cui definisce i caratteri è considerata una formazione non adattativa. Nel linguaggio comune, non raramente si usano formule che alludono ad atteggiamenti narcisistici tutto sommato accettabili, quali ad esempio “avere un sano narcisismo”, o simili. Queste formule sono usate anche da noi “psi”, ma sappiamo bene che sono delle forzature semantiche: il narcisismo è, nella sua sostanza, qualcosa patologico, proprio perché determina l’incapacità di sintonizzarsi sulle frequenze dell’altro. 

L’individualismo sempre più estremo su cui abbiamo costruito il vivere tra i nostri simili, è cambiato nel corso del tempo. Negli anni in cui andavano ancora di moda termini come “comunismo”, “socialismo”, “collettivo”, e simili,  l’individualismo era la modalità di stare al mondo del soggetto occidentale, caratterizzato dal modello economico capitalista o competitivo. L’individualismo competitivo era intendere sé stessi come l’unica cosa importante al mondo, nonché l’unica cosa per cui valesse la pena scatenare competizioni feroci. 

Nei termini dell’individualismo competitivo possiamo certamente descrivere molti personaggi di spicco delle epoche precedenti alla nostra: i grandi imprenditori, per esempio, o i grandi leader politici dalla fama di uomini, o donne rudi, di ferro, o cose del genere. 

L’individualismo narcisista

Oggi vediamo mutuare la cifra genetica dell’individualismo, che diventa sempre più a carattere narcisistico. Il narcisismo, forma patologica molto diffusa, anche nelle sue varianti meno gravi, entra sempre più nelle nostre modalità relazionali, al punto di fondersi nell’individualismo.  

La pretesa individualista di svalutare le esigenze degli altri, in nome delle proprie, aveva una valenza economicista quando associata alla competizione capitalista, ma associata al narcisismo, determina a cascata effetti disastrosi. Il soggetto contemporaneo, come si vede ogni giorno, ha smesso di identificarsi nelle collettività o nei gruppi, e vede unicamente sé stesso come il terminale delle logiche del mondo. (Il funzionamento degli algoritmi, come abbiamo già spiegato, è uno dei fattori che rafforza questa percezione, in quanto l’algoritmo mette l’utente al centro dell’universo, ma senza dirglielo.)

Per uscire dal teorico, l’uomo di oggi ha smesso di andare a votare, pur continuando a lamentare la distanza della politica dalla propria vita. Atteggiamento massimamente narcisistico: la politica dovrebbe sapere quali siano i bisogni dei cittadini, senza che essi li segnalino tramite il voto. Questo è solo un esempio, ma po’ in tutte le attività umane vediamo diffondersi questo atteggiamento. 

La pretesa è quella di una superiorità a priori: io merito questa cosa a prescindere, non c’è neppure il bisogno di conquistarla con la competizione. Lo scivolamento dell’individualismo verso il narcisismo sta portando, per esempio, a numerose difficoltà relazionali, la cui massima esemplificazione può essere quella del rapporto con i social network, e con l’algoritmo, come abbiamo spiegato poco sopra. 

Il mio algoritmo mi abitua ogni giorno a non comunicare a nessuno le mie esigenze, perché le sa indovinare da solo. Se abbiamo un rapporto costante con il nostro smartphone, ne discende che la relazione con l’algoritmo è una delle più pervasive che intratteniamo. Ma non ne siamo totalmente consapevoli. Da qualche parte, però, è sempre attivo un confronto: nel mio rapporto con la politica, con i familiari, gli amici ecc… , chi non mi capisce come l’algoritmo, non merita la mia attenzione. 

Se l’individualismo competitivo ci aveva trasformati in tanti piccoli squali da contrattazioni di borsa, l’individualismo narcisistico ci sta trasformando in pigri egoisti, indolenti e un po’ viziati. Possiamo dire che questa sia l’unica forma di evoluzione che ci rende meno adatti ai mutamenti che stanno per arrivare.  

¿Es la eyaculación precoz un problema? Esto es lo que puedes hacer.

Aproximadamente uno de cada tres hombres ha incurrido, al menos una vez en su vida, en este desagradable inconveniente. La eyaculación precoz es algo más que un simple trastorno, porque toca el corazón de quienes la padecen, degrada a la pareja y, sobre todo, perjudica a la pareja, que entonces es la verdadera víctima de este problema del que no tiene la culpa. 

Eres demasiado hermosa 

Lo primero que haces, cuando tienes un episodio de eyaculación precoz, es buscar excusas. Creo que es ciertamente comprensible desde el punto de vista humano, y también diría que una inevitable y genuina defensa de la propia virilidad. Sería doloroso, de hecho, tener que admitir la responsabilidad, en una situación que ya es tan vergonzosa en sí misma. 

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La clásica acusación, disfrazada de cumplido, “eres demasiado guapa”, traslada la culpa a la pareja, que se ve ridiculizada dos veces. 

Algunas de estas parejas, de hecho, reaccionan con ironía, otras escriben inmediatamente a sus amigos, o peor aún, a los posibles amantes, pero otras comienzan a albergar una sensación de insuficiencia, desconfianza, baja autoestima. 

¿Qué hacer?

La eyaculación precoz, cuando no es ocasional, suele ser una cuestión de significado. Todos atribuimos un significado a lo que hacemos, me refiero también a significados implícitos, no del todo claros ni siquiera para nosotros mismos, excepto en su aspecto más general, por no decir superficial. 

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Os Beatles Now and then: o fim dos tempos

A última canção dos Beatles – Now and then – dissolve a relação que liga a obra de arte à representação do tempo. Parece-nos, de facto, uma obra suspensa entre as eras que a marcam, e que usa a música, que é o tempo, para confundir referências temporais aos ouvintes.

O Tempo da Criação

Com De vez em quando os Beatles quebram todas as referências clássicas que ligam uma obra ao tempo, e dão-nos uma obra que é ao mesmo tempo uma grande ilusão psicodélica, um monumento à civilização virtual, uma sessão psicanalítica em associações livres. 

Comecemos pela criação. Da gestação ao nascimento do Agora e Depois, a cronologia biológica evapora-se. John Lennon gravou a demo em 1977, mas desde então tantos acidentes intervieram, que é impossível conectar o conteúdo dessa fita com o arquivo publicado pelas redes sociais em 2 de novembro de 2023. 

Vamos olhar mais de perto. Em 1995, um reencontro histórico, os restantes rapazes do Liverpool trabalharam em algumas canções que Lennon tinha deixado numa fita, incluindo Now and then. Os três lançaram duas faixas, conhecemo-lo bem, mas descartaram a terceira, a que estava em causa: a voz de João estava misturada ao piano, o resultado não os convenceu. Dessas sessões, no entanto, restam arpejos, acordes, linhas de baixo, das quais os três não se livram. Essas sessões devem ser inseridas no tempo da criação do Agora e Depois? E se assim for, ainda estamos a falar da canção concebida por João, ou de outra coisa, suspensa entre passado e futuro? 

Além disso, existe um passo intermédio, que é tudo menos negligenciável. Na com as gravuras estava escrito “para Paulo”, mas Lennon nunca a enviou ao amigo. Foi Yoko Ono quem deu a fita a Macca, meses depois da morte de John. Então vamos ver um pouco, Yoko Ono um dia no Edifício Dakota abre uma gaveta, encontra a fita, lê que é para Paul McCartney. O que faz a Viúva Lennon? Se seguisse o seu primeiro instinto, ao ver esse nome entraria em fúria, destruiria tudo e boa noite ao balde. Mas não, Yoko tem um suspiro, morde os lábios, abre a porta para os fantasmas do passado. Ela deixa passar algum tempo, Yoko Ono, e finalmente telefona para Paul. 

Sem contar que a fita poderia facilmente ter se perdido, o tormento interior de Yoko Ono e seu gesto entram no tempo da criação. De facto, devemos admitir que a dissolvem: porque sem essa fase a canção nunca teria visto a luz do dia. A escolha de Yoko, portanto, está fora das linhas do tempo criativas usuais, vai além delas, ou melhor, as lasca. 

Vamos a tempos mais recentes, estamos em 2022: Paul McCartney e a sua equipa têm novos programas de computador, sentem que o trabalho ainda não terminou, voltam à pista antiga. Com inteligência artificial conseguem isolar a voz de Lennon do piano, “cristalina”, diz Sir Paul incrédulo: o problema de 95 está superado! O canteiro de obras reabre, mas enquanto isso Harrison não está mais lá. Não importa, há os vídeos de 95, os arpejos, os acordes. Há desenhos de George, sua esposa concorda, eles serão bons para a capa. O baixo pode ressoar, Ringo é um mago nos coros, e depois há as coisas, muito: e por isso será Paul a fazer um solo de guitarra, ao estilo de George Harrison. Eh, quanta confusão! O trabalho está terminado, vamos dar uma olhada mais de perto: a voz é de Lennon, mas a música está lá a mando de Yoko, está lá graças à IA que separa as faixas, e graças ao fato de que na agitação de 8 de dezembro não se perdeu. Harrison está lá graças aos vídeos de 95, graças aos desenhos dados por sua esposa e graças ao talento de Paul. Quando o single sai é o dia dos mortos, e não é coincidência: de vez em quando vem do além, mais do que daqui. É por isso que podemos verdadeiramente dizer que é uma peça intemporal: é impossível recompor as fases da sua criação, a não ser dizendo que foi precisamente o Tempo, como um todo, que a entregou a nós. 

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De vez em quando: mas quando exatamente?

“Era uma vez, há muito tempo…” Foi assim que começaram os contos de fadas. A literatura define o tempo narrativo de várias maneiras, às vezes de forma mais explícita, às vezes menos, mas geralmente sempre com um curso linear. O príncipe Andreij ama secretamente Natasha, na época das guerras napoleônicas, o casamento de Renzo e Lucia não deve ser feito, na época da peste, Pisa é a reprovação do povo itálico, na época do conde Ugolino. Quer tenha sido há muito tempo, sem qualquer outra indicação, quer tenha sido precisamente no tempo de Napoleão, Dom Abbondio ou Dante, a história que se conta tem um antes, um durante, um depois. No máximo, como em alguns filmes de mistério, será capaz de contar um ou mais flashbacks, mas sempre dentro de um fragmento espaço-tempo definido. 

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टिकी-टाका और खुद को नुकसान पहुंचाना

मैनचेस्टर सिटी के कोच पेप गार्डियोला और टिकी-टका के विश्व गुरु, छोटे आत्म-हानिकारक इशारों के शिकार की छवियां दुनिया भर में चली गई हैं। 

सही सोच ने तुरंत प्रसिद्ध चरित्र पर अपने भाग्य से संतुष्ट नहीं होने का आरोप लगाया, लेकिन आप जानते हैं, और यहीं हम देखते हैं कि यह एक क्लिच नहीं है, पैसा, अपने आप में, खुशी नहीं देता है। गार्डियोला के व्यवहार और मानस पर टिप्पणी करने की असंभवता में, क्योंकि वह मेरा रोगी नहीं है, और यहां तक कि अगर मैं निश्चित रूप से ऐसा नहीं कर सका, तो मैं क्रोध, आक्रामकता और आत्म-नुकसान पर कुछ प्रतिबिंब बनाना चाहूंगा। 

प्रसिद्ध कोच हमें बहुत स्पष्ट रूप से कुछ बताता है। सभी स्तरों पर हमारे अंधेरे पक्ष के बारे में अच्छी जागरूकता विकसित करना और क्रोध और आक्रामकता को व्यक्त करने और प्रकट करने के पर्याप्त तरीके खोजना अच्छा है। क्योंकि आत्म-हानि इन भावनाओं को व्यक्त करने का एक चरम तरीका है, और सबसे ऊपर यह खुद को कुछ भयानक के अपराधी के रूप में पहचानता है। जिसके लिए हम सजा के हकदार हैं। 

हम में से प्रत्येक के पास दैनिक क्रोध की एक निश्चित मात्रा होती है, और जिस तरह से हम इसे दूर करते हैं, उससे हमारे दिन की प्रगति पर फर्क पड़ता है। 

क्रोध व्यक्त करने का एक अल्पज्ञात तरीका निष्क्रिय आक्रामकता है। ऐसी परिस्थितियां हैं जिनमें हम निहित हैं, अवरुद्ध हैं, लेकिन हम अपनी आंखों से या जहरीले चुटकुलों के साथ बिजली के बोल्ट फेंकते हैं। या यहां तक कि कटाक्ष के साथ, उन लोगों को मारना जो दोषी नहीं हैं। निष्क्रिय आक्रामकता तनाव पर काबू पाने का एक बहुत ही दुर्भावनापूर्ण तरीका है। 

इससे भी बदतर तरीका खुद को नुकसान पहुंचाना है। खुद को मारने का मतलब है कि सबसे पहले यह पहचानना कि हम जिस चुनौती का सामना कर रहे हैं उसके लिए हम पर्याप्त नहीं हैं, क्योंकि एक चुनौती हमें इतनी गहराई से अस्थिर नहीं कर सकती है। लेकिन इन सबसे ऊपर इसका मतलब यह स्वीकार करना है कि आप इतने बुरे थे कि आप सजा के हकदार थे। 

पेप गार्डियोला ने एक छोटे से आत्म-हानिकारक इशारे को कबूल किया, जो कि उसके नाखूनों से उसके माथे को थोड़ा घायल कर रहा था, सौभाग्य से उसके लिए वह अधिक हड़ताली इशारों से सुरक्षित है। लेकिन कुछ व्यक्ति हिंसक रूप से अपने चेहरे को खरोंचने, अपनी बाहों पर कटौती करने, खतरनाक दौड़ में मौत को धता बताने, या इससे भी बदतर होने के लिए इतनी दूर जाते हैं। हम में से प्रत्येक को अपने क्रोध के साथ अच्छे संबंध रखने चाहिए, इसे जीना चाहिए और इसे उचित और गैर-विनाशकारी शब्दों में व्यक्त करना चाहिए। आखिरकार, क्रोध हमें अपने बारे में कुछ बताता है, हमें बताता है कि हम असंतुष्ट हैं, और यह समझना कि हम कहां और कैसे हैं, कोई मामूली बात नहीं है। 

एक और कदम बना हुआ है, खेल एक। किसी ने मुझसे यह भी पूछा कि क्या टिकी-टाका, आखिरकार, खेल का एक निष्क्रिय आक्रामक तरीका नहीं है, जिसमें प्रतिद्वंद्वी थक गया है, लगभग मजाक उड़ाया गया है, एक वास्तविक तर्कसंगत तर्क के बिना, एक प्रकार की दुखद विकृति? यह एक ऐसा सवाल है जिसका मैं जवाब नहीं दे सकता, क्योंकि यह खेल मनोविज्ञान के क्षेत्र से परे है। 

हालांकि, मैं कह सकता हूं कि कला का हर रूप, हर दर्शन, हर सौंदर्यवादी अवधारणा उन लोगों से मिलती-जुलती है जिन्होंने उनकी कल्पना की थी। और वे उन लोगों से भी प्यार करते हैं, जो किसी तरह से खुद को फिर से देखते हैं। लेकिन हम इस बारे में किसी और जगह बात करेंगे।

Tiki-Taka e autolesionismo

Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, e guru mondiale del Tiki-Taka, vittima di piccoli gesti autolesivi

I benpensanti hanno subito accusato il famoso personaggio di non essere pago della sua fortuna, ma si sa, e proprio qui vediamo che non è una frase fatta, i soldi, di per sé, non danno la felicità. Nell’impossibilità di commentare i comportamenti e la psiche di Guardiola, perché non è mio paziente, e anche nel caso non avrei certo potuto farlo, vorrei però fare alcune riflessioni sulla rabbia, l’aggressività e l’autolesionismo

Aggressività passiva

Il famoso allenatore ci racconta una cosa molto chiaramente. A tutti i livelli è bene sviluppare una buona consapevolezza della nostra parte oscura, e trovare vie adeguate di espressione e manifestazione di rabbia e aggressività. Perché l’autolesionismo è una modalità estrema di espressione di queste emozioni, e soprattuto individua in noi stessi il colpevole di qualcosa di terribile. Qualcosa per cui meritiamo una punizione. 

Ognuno di noi ha una certa quota di arrabbiature quotidiane, e il modo in cui le superiamo fa la differenza sull’andamento della nostra giornata. 

Una modalità poco conosciuta di espressione della rabbia è l’aggressività passiva. Ci sono situazioni in cui siamo contenuti, bloccati, ma gettiamo saette con gli occhi, o con battute al veleno. Oppure ancora con sarcasmo pungente, colpendo persone che non hanno nessuna colpa. L’aggressività passiva è un modo molto disadattativo di superare la tensione. 

Autolesionismo

Un modo ancora peggiore, è l’autolesionismo. Colpire noi stessi significa anzitutto riconoscere di non essere adeguati alla sfida che stiamo affrontando, perché una sfida non ci può destabilizzare così profondamente. Ma soprattutto significa ammettere di essere stati talmente cattivi da meritare una punizione. 

Pep Guardiola ha confessato un piccolo gesto autolesivo, quello di ferirsi lievemente la fronte con le unghie, per sua fortuna è al riparo da gesti più eclatanti. Ma alcuni individui arrivano a graffiarsi violentemente il viso, a procurarsi tagli sulle braccia, a sfidare la morte in gare pericolose, o anche di peggio. Ciascuno di noi deve avere un buon rapporto con la sua rabbia, viverla ed esprimerla in termini adeguati e non distruttivi. In fin dei conti la rabbia ci racconta qualcosa di noi stessi, ci dice che siamo insoddisfatti, e capire dove e come lo siamo, non è cosa da poco. 

Sadismo e Tiki-Taka

Resta un altro step, quello sportivo. Qualcuno mi ha persino chiesto se il Tiki-Taka non sia, in fondo, una modalità di gioco passivo aggressiva, in cui l’avversario viene sfinito, quasi deriso, senza una vera logica razionale, una sorta di perversione sadica? È una domanda a cui non so rispondere, perché esula dall’ambito della psicologia sportiva. 

Posso dire, invece, che ogni forma di arte, ogni filosofia, ogni concezione estetica assomigliano intimamente a chi le ha ideate. E sono amate anche da chi, in qualche modo ci si rivede. Ma di questo parleremo in un’altra sede. 

Come riconoscere la depressione “sotto soglia”?

Depressione” è uno di quei termini entrati nel linguaggio comune che a volte vengono utilizzati in maniera impropria: ad esempio per spiegare situazioni, condizioni, o stati d’animo, che non necessariamente identificano la patologia psichiatrica cui si riferiscono. 

Depressione sotto soglia

Avviene così che uno studente possa dire di essere un po’ depresso dopo la bocciatura ad un esame, che un economista possa definire depresse alcune aree del mondo, o che uno storico possa riconoscere come depressi gli inglesi dopo il referendum per la Brexit. Espressioni, queste, che potrebbero essere enunciate anche in altri modi, senza scomodare le categorie della salute mentale. 

Di conseguenza a quest’uso talvolta non appropriato della terminologia “psy”, può avvenire anche la situazione inversa, ossia che un individuo viva uno stato che nella sostanza è depressivo, ma che non viene riconosciuto come tale. Una condizione che ricalchi gli aspetti psichici, ma non i sintomi clinici della depressione, invece, può comunque essere considerata una depressione sotto soglia

Può avvenire, ad esempio, che un individuo attivo, impegnato, e con tanti amici, viva una lunga fase di involuzione. Oppure che uno sportivo entri in un tunnel di tedio, che pur senza inchiodarlo al letto, lo rallenti facendogli sentire tutto estremamente pesante. Oppure ancora, che un individuo per il resto sano, diventi improvvisamente inappetente, malinconico, non interessato alla vita sessuale. 

Sogni, film, romanzi, ci parlano del nostro vuoto

La depressione sotto soglia è una condizione in cui i sintomi clinici più importanti sono tutto sommato compensati, mentre il soggetto vive comunque un senso di vuoto, di inutilità o di tristezza. Questi possono emergere, per esempio, nei sogni, o nei film che sceglie di guardare, o nei romanzi che decide di leggere. 

L’insonnia è un indicatore molto importante, lo sappiamo, perché quando dormiamo le difese razionali si abbassano. Ma anche gli interessi artistici lo sono, perché nell’arte sentiamo riverberare cose che a livello razionale fatichiamo a dire. 

Essere attratti esclusivamente da un certo genere di film, di romanzi, o di musica, (l’horror, per esempio, o il death metal), è certamente un indicatore di disposizioni individuali molto marcate, che sarebbe utile non derubricare a priori a meri gusti artistici.  

Psicosomatica: come gestire i sintomi fisici di natura psichica?

Un disturbo psicosomatico è una riposta fisica ad un disagio psicologico inespresso. 

Entità indivisibili  

Tutti abbiamo reazioni intense in certi momenti della giornata: alcune sono positive, altre negative, e in genere avvengono in concomitanza di eventi significativi. Se durante una discussione accesa sentiamo aumentare la sudorazione, o in presenza della persona amata sentiamo aumentare la frequenza cardiaca, sapremo facilmente rintracciare nel contesto ambientale l’origine di questi messaggi corporei. 

La psicosomatica funziona diversamente: ci presenta il conto di un acquisto sconosciuto. Ci troviamo, così, a dover gestire un determinato sintomo, senza sapere in maniera esplicita a cosa sia dovuto. 

La cultura scientifica dualista di cui facciamo parte, ci ha insegnato a suddividere fenomeni o grandezze indivisibili per poterli studiare. Questo avviene ad esempio nella medicina, in cui i sistemi del corpo umano vengono distinti in muscolo scheletrico, circolatorio, digerente, ecc… per esigenze medico-chirurgiche, ma fanno ovviamente tutti parte di un individuo unico, e sono pertanto legati fra loro. Lo stesso vale per la psiche: essa è indissolubilmente legata al nostro corpo, e pertanto potrebbe imparare, con il tempo, e a certe condizioni, a scaricare il malessere proprio in uno di quei sistemi. 

Esprimere il disagio

In questi anni convulsi, successivi alla pandemia da Covid-19, abbiamo imparato l’importanza di dare un nome ed esprimere il disagio, nonché l’importanza di circondarci di persone, in coppia, o nel gruppo di amici, che sappiano ascoltare, dare un peso, a quello che succede dentro di noi. Lo stesso dobbiamo dire parlando di psicosomatica, dove anzitutto noi stessi dobbiamo saper ascoltare il nostro corpo

Ad alcune forme di turbamento o sofferenza psichica cominciamo, con il tempo a non dare troppa importanza, a nasconderle, se non addirittura ad insabbiarle: da un lato per non perderci tempo, ma dall’altro anche perché, probabilmente, il nostro ambiente affettivo non le prenderebbe troppo sul serio. Nel caso della psicosomatica può avvenire che condizioni stressanti si incastrino in profondità dentro di noi, e non trovino il modo di venire espresse, neppure a noi stessi. In questi casi, però, non scompaiono del tutto, semplicemente vengono relegate ad un livello più profondo, andando ad appesantire alcuni organi al di là della nostra volontà.   

E cosi avviene che molti pazienti, quando chiedo se saprebbero dire in quale punto del corpo localizzerebbero il loro malessere, facciano segno indicando la testa, o le spalle, o il ventre, e così via. Per ogni sintomatologia si può individuare una parte del corpo nella quale la sentiamo nascondersi meglio, più comodamente. 

Affrontare un sintomo psicosomatico significa anzitutto mettersi in comunicazione con il corpo, ascoltare che cosa voglia dirci attraverso quella manifestazione, e perché non ne abbia, invece, espressa un’altra. Il nostro corpo ci parla, se agli altri non interessa, dovrebbe per prima cosa interessare noi stessi.   

Napuli sul tetto del mondo.

Quando i meridionali arrivarono a Torino negli anni Sessanta, per riempire di braccia quelle stesse fabbriche che oggi emigrano a loro volta, erano chiamati Napuli. Il termine, canzonatorio e genericamente riassuntivo, definisce in realtà il disprezzo che i torinesi di allora avevano per tutta quella massa di italiani, così lontani ed estranei, da poterli racchiudere in un unico sottoinsieme: napoletani.

Napuli

I Napuli a Torino hanno lavorato e pagato le tasse, hanno comprato case, automobili, quotidiani, hanno cresciuto figli, e poi hanno fatto proverbiali rimpatriate al sud, ai loro paesi d’origine, per le vacanze estive. Ma quel termine “napoletani” (che a Milano era “terroni”), li ha feriti e vilipesi, ben più di quanto abbiano mai potuto mostrare. Così, quando alla fine degli anni Ottanta, Totò Schillaci venne ingaggiato dalla Juventus, i meridionali di Torino videro in quel ragazzo il figlio che ce l’aveva fatta, il riscatto della nuova generazione su un passato di stenti e discriminazioni. 

I napoletani avevano già in Maradona il loro eroe, va detto, ma i meridionali tutti arsero immediatamente di orgoglio, quando il ragazzo siciliano (cit. Bruno Pizzul) indossò quella casacca, croce e delizia di ogni italiano. Nella sua prima stagione alla Juventus, Schillaci vinse la coppa Uefa, e quando allo stadio Meazza, contro il Milan, alzò anche la coppa Italia, Azeglio Vicini non poté esimersi dal convocarlo in Nazionale. 

Totò, figlio d’Italia

Fu lì che Schillaci scrisse la Storia. Entrando dalla panchina, e per questo senza pestare i piedi a nessuno, Totò, ex Napuli, ora beniamino di tutti gli italiani, salì letteralmente sul tetto del mondo. 

Della parabola discendente non vorrei dire, perché per tutti noi non ci fu mai nessuna parabola. Totò Schillaci resterà sempre l’emblema di quell’estate magica, con quel suo sguardo rapace di chi ha deciso di farcela. Sguardo che è senza dubbio la prima cosa che ci sale alla memoria, quando udiamo quello che fu davvero la colonna sonora di una grande estate italiana.  

E negli occhi tuoi, voglia di vincere, un’estate, un’avventura in più.”  

L’eiaculazione precoce è un problema? Ecco cosa puoi fare.

Circa un uomo su tre è incorso, almeno una volta nella vita, in questo spiacevole inconveniente. L’eiaculazione precoce è qualcosa di più di un semplice disturbo, perché tocca nell’intimo chi ne soffre, avvilisce la coppia, e soprattutto ferisce il/la partner, che poi è la vera vittima di questa problematica di cui non ha colpa.  

Sei troppo bella 

La prima cosa che si fa, quando si presenta un episodio di eiaculazione precoce, è cercare delle scuse. Credo sia certamente comprensibile dal punto di vista umano, e direi anche una inevitabile e genuina difesa della propria virilità. Sarebbe penoso, infatti, dover ammettere delle responsabilità, in una situazione già di per sé così fortemente imbarazzante. 

Ma a volte, come dice il detto, la toppa è peggio del buco. Questo perché cercare delle scuse blinda la posizione di chi invece dovrebbe fare autocritica, e trovare il modo per superare questo impasse. Lo mette al sicuro, gli consente di cadere in piedi dicendo “non è colpa mia”. Inoltre, e questa è davvero la peggiore delle conseguenze, la classica accusa, travestita da complimento, “sei troppo bella”, scarica le colpa sul/la partner, che si vede beffata due volte. 

Alcune/i di questi partner, infatti, reagiscono con ironia, altri scrivendo subito alle amiche, o peggio a potenziali amanti, ma altri ancora iniziano a covare un senso di inadeguatezza, di sfiducia, di bassa autostima.  

Cosa fare?

L’eiaculazione precoce, quando non è occasionale, è sovente un fatto di significati. Tutti attribuiamo un significato a quello che facciamo, intendo anche significati impliciti, non del tutto chiari neppure a noi stessi, se non nel loro aspetto più generale, per non dire superficiale. 

Così frequentiamo un ristorante dimenticando (apparentemente) che in quella via si sono incontrati i nostri genitori, oppure amiamo un profumo che ci lega a qualche ricordo d’infanzia, che però non sappiamo definire con precisione, e così via. 

Quando l’apparato genitale è privo di disturbi organici, la disfunzione è molto probabilmente legata a qualche significato profondo che a tutta prima ignoriamo. 

Al di là dei consigli pratici che si trovano su ogni sito, quindi, diventa importante indagare proprio quel significato: non solo è il vero responsabile del nostro comportamento, ma è la garanzia certificata che si ripeterà nuovamente, anche con un’altra persona. E non importa quale scusa riusciremo a inventare, o quale lusinga a immaginare. 

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