Per una psicologia del post occidentale
Allo stato attuale di sviluppo della nostra società, dobbiamo ammettere due cose: la civiltà occidentale va verso il declino, e la cultura su cui l’abbiamo fondata non ci ha reso felici. Ripensare il nostro approccio alla vita, al mondo e agli altri, può essere un modo per non scomparire, e anzi, imparando dagli errori, adeguarci al mondo che cambia. Ma è anche un modo per costruire una psicologia rivolta a tutti gli essi umani, non soltanto quelli che vivono a occidente.
Declino (infelice)
La cultura cui apparteniamo ha perso il suo slancio vitale, non è più dominante nel mondo, ed è condivisa da una parte sempre più esigua di esseri umani. Rispetto agli anni dei grattaceli, delle metropolitane e degli aerei supersonici, in parole povere, il modo di vivere all’occidentale affascina sempre meno, anzitutto noi stessi. Inoltre dobbiamo ammettere che questo modo di vivere non ci ha dato felicità. Ad oggi il disagio mentale è totalmente fuori controllo, in una stagnazione economica endemica, e in cui la fiducia nel futuro continua a precipitare.
Per decenni i nostri intellettuali si sono scagliati contro la tecnica, che andava trasformando, a loro dire, i cittadini in automi. Invece la tecnica non ha trasformato tutti in automi, qualcuno ha anche saputo trarre giovamento da grandi innovazioni come l’aria condizionata, Internet, o la telefonia mobile.
Sono invece i modelli culturali su cui ci siamo basati, ad aver perso la sfida del tempo. Sono come le colonne del tempio di Sansone, che si vanno sgretolando, e noi rischiamo di restarci sepolti.
Un focus
“Ad un problema complesso corrisponde sempre una soluzione semplice, immediata, e di facile attuazione: quella sbagliata.” Questa battuta di un grande giornalista contemporaneo significa che una strategia multidimensionale non è definibile in poche parole. Se siamo a questo punto, se il modo di vivere all’occidentale fa acqua da tutte le parti, è difficile invertire la rotta, soprattutto in maniera spartana e semplicistica.
Tuttavia è possibile individuare alcuni capisaldi culturali che possono essere rivisti se si vuole pensare ad una nuova psicologia, stavolta che non guardi più soltanto all’uomo occidentale, ma agli uomini (e alle donne) del medio oriente, dell’Africa sub sahariana, e così via…
La iper competizione: non ha creato benessere economico per tutti, ha fatto sentire esclusi molti, e anzi ha generato malessere tra chi è stato inadeguato. La competizione è diventata una ragione di vita, uno modus operandi, ed oggi assistiamo a competizioni persino dove non dovrebbero essercene. Doveva essere uno sprone economico, è diventato un progetto di vita individuale.
Il modello culturale patriarcato/femminismo. Questo modello, basato sul conflitto e non sulla cooperazione, ha condotto le campagne femministe a non proporre il superamento del patriarcato, ma il suo rovesciamento. In questo modo l’occidente si è incancrenito in fasi opposte di rivalse reciproche, fino a corrodere la fiducia, elemento indispensabile per il vivere collettivo.
Di conseguenza: individualismo. Ci sono state epoche in cui abbiamo saputo lavorare a progetti comuni, come ai tempi della nascita degli stati moderni, ma poi siamo diventati sempre più individualisti, e questo è stato rinforzato dai modelli economici, specie dopo la caduta del Muro. Il manager di un’azienda guadagna fino a mille volte più di un dipendente, così come il giocatore simbolo di una squadra di calcio.
La morte del sacro. Una società senza religioni né religiosità, senza spiritualismi, né passioni idealistiche per la politica, o per l’arte, è una società senza speranza.
Nell’immaginare il post occidentale, questi sono alcuni elementi del nostro vivere che dovremmo provare a rivedere, a ripensare. O quantomeno a registrare. Si tratta di pensare ad una nuova psicologia, considerare l’uomo in maniera diversa da come abbiamo fatto fino ad ora. E almeno per questo, non è mai troppo tardi.