Categoria: Famiglia

  • Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Nei giorni scorsi un adolescente si è tolto la vita, pare in seguito ad alcuni scambi avuti su un social network con i suoi follower. Il giudizio popolare è stato immediato: la gogna mediatica ha travolto gli strumenti informatici, la pratica delle comunicazioni tra sconosciuti, il costume di raccontare cose intime attraverso post, video o meme. Se il ragazzo è incorso in questo drammatico exitus, tuttavia, la colpa non è dei social network. Il bullismo esisteva anche prima delle reti sociali, ma quello che è cambiato, forse, è il modo in cui gli adolescenti vi fanno fronte: aiutati, o non aiutati, dal loro contesto quotidiano. È di questo che dobbiamo parlare, se vogliamo fornire loro strumenti mentali, e non pretesti. 

    Prima del cyberbullismo 

    Nel 1992 una mia cara amica venne bullizzata in occasione del concerto dei Guns N’ Roses. Su una rivista per giovani, questa ragazza pubblicò il suo numero di telefono sotto all’inserzione in cui cercava compagnia, per non fare il viaggio da sola. Nei giorni prima del concerto, avvenne che un gruppo di baldi, credendola molto brutta, la chiamò a quel numero, e la apostrofò dileggiandola volgarmente. La mia amica per tutta risposta scoppiò in lacrime, e fu lì che avvenne qualcosa che, oggi, potrebbe avere dell’incredibile. Il padre, fan dei Ricchi e Poveri, comprò due biglietti per lo stadio, e pensò lui stesso a portarla a vedere Axl Rose e compagni. 

    Ora, questo esempio deve fare concludere una sola cosa: l’adolescente sul social network non è stato ucciso dal cyberbullismo, ma dalla solitudine. Il padre della ragazza ha colto al volo la difficoltà della figlia, l’ha presa seriamente, e ha creato anzitutto un ambiente facilitante. Molto probabilmente quel ragazzo non ha trovato, per esempio a scuola, un contesto in cui portare il suo disagio. L’ha espresso, invece, sui social network, esponendosi all’aggressione dei bulli. Quindi chi ha sbagliato: lui, o chi non gli ha fornito questo contesto? 

    Come, ragionevolmente, non possiamo immaginare un mondo senza guerra, perché la prevaricazione fisica tra umani è un dato di fatto del loro modo di relazionarsi, allo stesso modo non possiamo sognare un mondo senza bullismo, o cyberbullismo. Quello che possiamo immaginare, invece, è la costruzione, e la diffusione, di strumenti atti alla difesa. 

    Adolescenti in palestra

    L’adolescente ha bisogno di una palestra. Intendo di un luogo, che non deve essere solo fisico, in cui sperimentare diverse capacità, apprendere o affinare quelle in cui scarseggia, e, se necessario, abbandonare quelle che non fanno per lui. 

    Il contesto scolastico, o quello familiare, devono fornire questo luogo, in maniera diretta, o anche indiretta. Da un lato sarebbe importante che gli adolescenti avessero spazi propri di confronto, anche in gruppo, sulle tematiche del loro mondo interiore. Dall’altro, però, anche i genitori e gli insegnanti dovrebbero avere uno spazio simile. Sono gli adulti a costruire l’ambiente in cui gli adolescenti si muovono, e questo ambiente non è solo fisico, è anche un ambiente mentale. Così, ancor prima di approdare sulle piattaforme online, i ragazzi frequentano luoghi e contesti, che hanno la responsabilità di essere accoglienti e facilitanti. 

    L’adolescente invisibile a casa, a scuola, in parrocchia, al campo di allenamento, va inevitabilmente in cerca di like. Per avere, se non altro, qualche rimando: su ciò che è, ma soprattutto su ciò che vorrebbe diventare. 

  • La coppia separata dalla morte

    La coppia separata dalla morte

    Nel film Ghost del 1990, Demi Moore e Patrick Swayze interpretano una coppia spezzata da una morte accidentale. I due ragazzi, tuttavia, rifiutano la nuova condizione, e attraverso una serie di espedienti trovano il modo di tenere in vita la loro relazione. Al netto della finzione cinematografica, questa condizione non è così rara. Sono tanti, infatti, gli individui che negano fortemente la dipartita del congiunto, e in maniera magica ne perpetuano il ricordo, continuando a considerarlo parte dalla loro vita quotidiana. 

    Negazione

    La tendenza a considerare il compagno deceduto come ancora vivo, presente, e protagonista nella vita di chi resta, è una lama a doppio taglio tutt’altro che facile da manovrare. Da un certo punto di vista, è assolutamente comprensibile portare avanti dei progetti, sapendo che sono stati sognati e condivisi con l’altra persona. E una volta raggiunti, è naturale che il pensiero corra anzitutto a chi ha visto nascere quel cantiere, che mai vedrà concludere. 

    Alcune persone, però, conservano molte abitudini della coppia, persino un’identità a due, come se l’altro non fosse mai andato. Qualcuno lascia vuoto il posto a tavola,  qualcuno mantiene gli stessi orari, c’è persino chi continua “a fare come se” l’altro ci fosse ancora. Il pensiero magico, in questi casi, è dietro l’angolo: alcuni arrivano a considerare telefonate, incontri casuali per la strada, piccoli/grandi eventi quotidiani come indotti direttamente dalla presenza dell’altro. 

    La negazione è il primo ostacolo che riguarda la scomparsa di un compagno. Quando la coppia separata dalla morte continua a esistere nella mente di chi resta, che insiste a sentirsene parte, molto sovente si tratta del preludio ad una caduta depressiva più importante. La negazione, infatti, non può protrarsi a lungo, proprio perché la sua perpetrazione potrebbe portare a distorsioni importanti del piano di realtà. 

    Per capirci, potremmo citare un altro film celebre, Psycho di Alfred Hitchcock. In quel caso la negazione della morte (della madre, nella fattispecie) raggiunge un livello di rigidità tale da sfociare nel grave disturbo mentale. 

    La sorte della coppia

    È giusto mantenere in vita una coppia sciolta da una causa esterna? In tutti i casi di separazione, la prima cosa da metabolizzare è che l’altra persona non c’è più. Quando   una coppia finisce, sovente c’è un periodo di strenui tentativi, anche disperati, di ricucire, di recuperare, di mostrarsi diversi. È una cosa dannosissima per la salute di entrambi: di chi lascia, perché in cuor suo ha già metabolizzato, e sente solo come invadente tale atteggiamento, e di chi viene lasciato, che cerca di andare contro la propria natura. 

    Prima si comprende che la relazione tra due persone è diventata impossibile, e meglio è per entrambi. Al di là delle credenze religiose, che rispetto, ma che non fanno parte di questa trattazione, la convinzione che la relazione con una persona deceduta possa continuare, è, per quanto commuovente nelle ambizioni, fortemente deleteria nelle conseguenze. 

    La più importare delle quali è che chi resta non supera il vuoto della perdita. Anzi, nel negare che la perdita sia mai avvenuta, ritarda la presa di coscienza del dono che l’altro ci ha fatto, regalandoci il suo tempo terreno. Come tutte le cose passate, che non solo rivivono nel ricordo, ma si strutturano dentro di noi diventando parte della nostra identità profonda, anche le relazioni, persino le più negative, mettono dei mattoncini nella nostra storia. 

    “L’amore che hai dentro, portalo con te” con queste parole Patrick Swayze saluta Demi Moore, nel film da cui siamo partiti. Molto probabilmente è qui la svolta per sopravvivere alla morte di un partner: si tratta, infatti, delle parole che non sentiremo mai, ma le uniche che ci autorizzerebbero ad andare avanti da soli. 

  • La notte della verità e il senso della psicoanalisi.

    La notte della verità e il senso della psicoanalisi.

    Quale verità?

    La fine della verità e l’esplosione del fake hanno condotto, come vediamo ogni giorno, al crollo della fiducia in qualunque tipo di comunicazione. La crisi del significato si accompagna, potremmo dire, alla crisi di credibilità del significante, ossia alla forma, o alla struttura, con cui un messaggio viene inviato. 

    Nella difficoltà di interpretare il significato di quello che ci accade, di attribuire un senso al nostro presente, dilaga, di conseguenza, qualunque forma di lettura, dalla più fantasiosa, alla più distorta. Come nella psicopatologia, che in molti casi altro non è che il tentativo di trovare un senso logico a qualcosa di incomprensibile. 

    Così assistiamo alla crisi endemica di ogni istituzione o sovrastruttura deputata alla lettura e all’interpretazione del senso e del significato: compreso il senso profondo dell’essere e del rapporto tra l’uomo e la sua stessa vita, il senso del rapporto tra l’uomo e i suoi simili, anche quelli vissuti in passato, o che vivranno in futuro, il senso del rapporto tra l’uomo e la natura, e, ultimo, anche se, ovviamente, non per ultimo, il senso del sacro, del religioso e del divino.

    Cuoricini

    Fuor di metafora. La politica non è più un modo per decriptare il presente e intuire una traiettoria in cui situarsi, e infatti la gente ha smesso di votare. L’arte, nelle sue varie forme, non è più creativa (nonostante le esponenziali opportunità offerte da 

    stampanti 3D, IA, e autotune), e stentiamo a cogliere in essa quel brivido di infinito che devono aver sentito i primi osservatori della Pietà di Michelangelo. Le chiese sono vuote, al punto che ci chiediamo se vi sia ancora una domanda di sacro e di infinito nell’uomo contemporaneo, o ci sia soltanto la più vuota rincorsa al “cuoricino”, ultima misura di valore individuale. 

    In questo scialbo inizio della fine (dove altro potremmo andare, se non verso l’inverno nucleare?), pare resistere un ultimo baluardo: quella serie di accidentate vicende che avvengono dietro la porta del dottor S. , e che prendono il nome, assai generalizzato, di psicoanalisi

    Psicoanalisi: una verità rivoluzionaria 

    La costellazione psicoanalitica di trattamenti si fonda su un’innegabile novità: nella relazione terapeutica viene presa in atto una verità sul paziente che è totalmente alternativa rispetto a quella a cui è abituato nella vita quotidiana, una verità talmente rivoluzionaria, da cambiare (radicalmente) il modo in cui egli sente di essere percepito. 

    Nella notte della lettura e dell’attribuzione di significato, direi la notte della verità, la psicoanalisi resta l’ultima vicenda umana e intellettuale, a fornire all’uomo odierno un incontro con le domande più pervasive della sua storia. I trattamenti sorti dalla teoria psicoanalitica sono gli ultimi a vincolarsi a un qualsivoglia algoritmo (purché fatti di persona), non dipendono dai sondaggi, non hanno per mercato che un solo individuo per volta. 

    Ecco che l’avventura “psi”, o meglio, la complessa raccolta di storie che avvengono intorno a quella scrivania, raccolta che soltanto ad un certo punto acquisirà statuto di romanzo, rimane, nella sua privata segretezza, l’ultima ad affrontare il senso dell’essere e del significato personale. E con buona pace della nostra immagine pubblica, quella così ben raccontata dai profili social, in cui siamo sempre vincenti, ultra performanti, e contornati da amici fantastici.  

  • Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone, o (friendzone), zona dell’amico, è la situazione in cui, in una coppia di amici, uno dei due è segretamente innamorato dell’altro, o comunque fortemente attratto, ma non può esprimere i priori sentimenti, perché sente di essere visto, per l’appunto, “soltanto” come un amico. 

    Friendzonare qualcuno, quindi, significa inserirlo in quella lista di persone che non ci sentiamo di definire in altro modo che come dei buoni amici. 

    Errata comunicazione

    Nel film Yesterday di Danny Boyle (2019), Jack Malik è un cantautore di scarsa fortuna, che suona nei pub e ai festival di terza categoria, che si tengono nella sua città natale. Nessuno crede in lui come artista, per lo meno fino a quando non trova il modo di riproporre i classici dei Beatles, che nel frattempo il resto del mondo ha dimenticato. Nessuno, dicevo, crede in Jack, tranne la sua manager, autista, amica e confidente Ellie Appleton. Alla festa di addio, con amici e parenti, prima della partenza di Jack per Hollywood, Danny Boyle piazza una scena cruciale: Ellie, in lacrime, confessa di essere da sempre innamorata di Jack, e gli chiede come sia stato possibile che l’abbia inserita nella “colonna sbagliata”, ossia nella colonna “amica”, anziché nella colonna “fidanzata”. Jack trasecola, e scopre di avere friendzonato Ellie, ma il guaio peggiore è che non si è mai accorto di averlo fatto.

    Osservando la coppia di questi due ragazzi, possiamo chiederci se la relazione che culmina con la friend zone non abbia delle caratteristiche tipiche, ricorrenti, che possono essere osservate in anticipo.  

    Anzitutto direi di distinguere la friend zone in due macro categorie: quella in cui si viene friendzonati, e quella in cui, invece, si finisce per friendzonare qualcun altro.  

    Ora, dobbiamo ammettere che la prima motivazione in assoluto per cui si viene visti come semplici amici sia lo scarso interesse. Se non suscitiamo attrazione, se l’altra persona non si sente attratta da noi, sarà molto più facile che ci veda come amico, e difficilmente riusciremo a conquistarla. 

    Una seconda motivazione per cui si finisce in una friend zone, però, riguarda la comunicazione. Se nella vita affettiva ci capita questo spiacevole imprevisto, e soprattutto se ci capita più di una volta, dovremmo chiederci: quale messaggio stiamo inviando? L’errore di comunicazione è più diffuso di quanto si creda, ed è sovente collegato all’insicurezza, o alla paura di essere respinti. In questi casi, talvolta, si tende a mantenere un profilo più basso e distaccato di quanto si vorrebbe, per paura che l’altro capisca il nostro interesse e ci allontani. Il caso di Ellie e Jack, nel film Yesterday, può rientrare in questa seconda casistica. E infatti il ragazzo si innamora immediatamente della sua ex manager, non appena scopre i veri sentimenti di lei. 

    L’assioma di Miss Liceo

    L’altra grande categoria è quella in cui si mette qualcuno nella friend zone, salvo poi pentirsene amaramente. Potremmo definire questa sventurata eventualità come l’assioma di Miss Liceo. Sappiamo tutti che l’alunna, o l’alunno, più in vista della scuola, raramente si fidanza con il compagno di banco, il ragazzino affidabile e premuroso, sempre gentile, disponibile ad aiutare nei compiti. Questa situazione, che certamente può essere indotta da opportunismo, non raramente nasconde, invece, qualcosa di più profondo. Miss Liceo (Mr Liceo) ha un potere enorme su tutti i compagni della scuola. È popolare, fa tendenza, ma soprattutto non ha veri nemici, nessuno contraddice le sue mosse. 

    Immaginiamo Miss Liceo innamorata del compagno di banco: cosa resterebbe della sua popolarità? Dovendo scegliere tra il potere e l’amore, sarebbe indotta a friendzonare l’amico? L’assioma di Miss Liceo, che per la verità si ripete anche in ufficio, in palestra, in spiaggia, e via dicendo, ci suggerisce una riflessione molto importante su noi stessi. Quando siamo noi a friendzonare qualcuno, potremmo chiederci: per quale motivo questa ragazza/ragazzo, non ci piace abbastanza? Siamo davvero sicuri che non sarebbe un successo accettare le sue avance? E ancora, ma qui ci vuole davvero tanta elasticità mentale: quale tipo di immagine interiore di noi stessi metterebbe in crisi, allacciare una relazione con questa persona? 

  • Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nella mia pratica quotidiana incontro sempre più frequentemente problemi sessuali, anche di forme diverse rispetto a quelle, per così dire, tradizionali. Disfunzioni erettili occasionali o episodi di eiaculazione precoce per gli uomini, difficoltà legate all’orgasmo o perdita dell’interesse sessuale per le donne, ecc… . 

    La paura del corpo e il politicamente corretto

    Una delle ragioni di quella che possiamo definire un’involuzione delle dinamiche relazionali, è certamente l’ondata di terrore per il corpo che si è propagata nel post pandemia da Covid-19. Le tecnologie oggi consentono relazioni asettiche, con scambio istantaneo di immagini e video privati, che alla lunga creano una bolla di comfort informatico. Da un lato, questi scambi mettono al riparo da rischi di contagio che inevitabilmente la prossimità umana comporta. Dall’altro, vediamo che il contatto in presenza non è più necessariamente l’inizio di una relazione, ma talvolta il passo successivo a scambi di messaggi, foto o video andati a buon fine. Così avviene che per alcuni il passaggio al corpo, e al corporeo, è una prova dei fatti (declamati,  millantati?) non facile da sostenere.  

    E poi c’è la concomitante esplosione (sacrosanta) del politicamente corretto. Se da un lato, finalmente, tutti si sentono meno autorizzati a fare quelle odiose battute a doppio senso, quelle allusioni viscide, che da sempre mettono in imbarazzo non solo chi ne è il bersaglio, il rovescio della medaglia è un raffreddamento generale della self confidence. I più timidi (di ogni genere) possono sentirsi sotto esame ogni volta che fanno qualche approccio, e più in generale possono percepire su di sé giudizi o aspettative che un tempo non si pensava di avere. 

    Fuga dalla competizione

    Ad un livello più profondo, i nuovi problemi legati alla relazione, e che si manifestano soprattutto nell’attività sessuale, sono associati ad una sempre maggiore difficoltà di entrare in competizione. Vediamo comunemente, ormai, condotte di evitamento attivo della competizione, in ogni ambito della vita del nostro Paese. I politici in crisi di consensi cambiano partito, anziché impegnarsi a recuperare voti con quello a cui sono iscritti. Sportivi professionisti chiedono ai procuratori di cambiare società o campionato, quando sentono di non avere fiducia da parte dell’ambiente, anziché mettersi di impegno per mostrare il loro valore. E via di questo passo. 

    La tendenza a pretendere a priori un certo tipo di riconoscimento, prima ancora di aver dimostrato di meritarlo, è parte di molti atteggiamenti che a vario titolo abbiamo definito egocentrici, egoistici, individualistici, narcisistici ecc… . Ossia atteggiamenti di chi non è disposto a conquistare qualcosa, perché ritiene gli sia dovuta. 

    Se nella coppia in una crisi questo può portare, nei casi più gravi, a scontri violenti, nella coppia in divenire può definire difficoltà sul piano sessuale. Perché devo impegnarmi a fare qualcosa che mi è dovuta? Perché devo raggiungere, conquistare, sedurre? L’intimità necessita di un certo impegno, ma probabilmente non tutti lo sanno. Anche di questo si parla sempre troppo poco, e, malauguratamente, anche sempre troppo a vanvera. 

  • Tiki-Taka e autolesionismo

    Tiki-Taka e autolesionismo

    Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, e guru mondiale del Tiki-Taka, vittima di piccoli gesti autolesivi

    I benpensanti hanno subito accusato il famoso personaggio di non essere pago della sua fortuna, ma si sa, e proprio qui vediamo che non è una frase fatta, i soldi, di per sé, non danno la felicità. Nell’impossibilità di commentare i comportamenti e la psiche di Guardiola, perché non è mio paziente, e anche nel caso non avrei certo potuto farlo, vorrei però fare alcune riflessioni sulla rabbia, l’aggressività e l’autolesionismo

    Aggressività passiva

    Il famoso allenatore ci racconta una cosa molto chiaramente. A tutti i livelli è bene sviluppare una buona consapevolezza della nostra parte oscura, e trovare vie adeguate di espressione e manifestazione di rabbia e aggressività. Perché l’autolesionismo è una modalità estrema di espressione di queste emozioni, e soprattuto individua in noi stessi il colpevole di qualcosa di terribile. Qualcosa per cui meritiamo una punizione. 

    Ognuno di noi ha una certa quota di arrabbiature quotidiane, e il modo in cui le superiamo fa la differenza sull’andamento della nostra giornata. 

    Una modalità poco conosciuta di espressione della rabbia è l’aggressività passiva. Ci sono situazioni in cui siamo contenuti, bloccati, ma gettiamo saette con gli occhi, o con battute al veleno. Oppure ancora con sarcasmo pungente, colpendo persone che non hanno nessuna colpa. L’aggressività passiva è un modo molto disadattativo di superare la tensione. 

    Autolesionismo

    Un modo ancora peggiore, è l’autolesionismo. Colpire noi stessi significa anzitutto riconoscere di non essere adeguati alla sfida che stiamo affrontando, perché una sfida non ci può destabilizzare così profondamente. Ma soprattutto significa ammettere di essere stati talmente cattivi da meritare una punizione. 

    Pep Guardiola ha confessato un piccolo gesto autolesivo, quello di ferirsi lievemente la fronte con le unghie, per sua fortuna è al riparo da gesti più eclatanti. Ma alcuni individui arrivano a graffiarsi violentemente il viso, a procurarsi tagli sulle braccia, a sfidare la morte in gare pericolose, o anche di peggio. Ciascuno di noi deve avere un buon rapporto con la sua rabbia, viverla ed esprimerla in termini adeguati e non distruttivi. In fin dei conti la rabbia ci racconta qualcosa di noi stessi, ci dice che siamo insoddisfatti, e capire dove e come lo siamo, non è cosa da poco. 

    Sadismo e Tiki-Taka

    Resta un altro step, quello sportivo. Qualcuno mi ha persino chiesto se il Tiki-Taka non sia, in fondo, una modalità di gioco passivo aggressiva, in cui l’avversario viene sfinito, quasi deriso, senza una vera logica razionale, una sorta di perversione sadica? È una domanda a cui non so rispondere, perché esula dall’ambito della psicologia sportiva. 

    Posso dire, invece, che ogni forma di arte, ogni filosofia, ogni concezione estetica assomigliano intimamente a chi le ha ideate. E sono amate anche da chi, in qualche modo ci si rivede. Ma di questo parleremo in un’altra sede. 

  • Come riconoscere la depressione “sotto soglia”?

    Come riconoscere la depressione “sotto soglia”?

    Depressione” è uno di quei termini entrati nel linguaggio comune che a volte vengono utilizzati in maniera impropria: ad esempio per spiegare situazioni, condizioni, o stati d’animo, che non necessariamente identificano la patologia psichiatrica cui si riferiscono. 

    Depressione sotto soglia

    Avviene così che uno studente possa dire di essere un po’ depresso dopo la bocciatura ad un esame, che un economista possa definire depresse alcune aree del mondo, o che uno storico possa riconoscere come depressi gli inglesi dopo il referendum per la Brexit. Espressioni, queste, che potrebbero essere enunciate anche in altri modi, senza scomodare le categorie della salute mentale. 

    Di conseguenza a quest’uso talvolta non appropriato della terminologia “psy”, può avvenire anche la situazione inversa, ossia che un individuo viva uno stato che nella sostanza è depressivo, ma che non viene riconosciuto come tale. Una condizione che ricalchi gli aspetti psichici, ma non i sintomi clinici della depressione, invece, può comunque essere considerata una depressione sotto soglia

    Può avvenire, ad esempio, che un individuo attivo, impegnato, e con tanti amici, viva una lunga fase di involuzione. Oppure che uno sportivo entri in un tunnel di tedio, che pur senza inchiodarlo al letto, lo rallenti facendogli sentire tutto estremamente pesante. Oppure ancora, che un individuo per il resto sano, diventi improvvisamente inappetente, malinconico, non interessato alla vita sessuale. 

    Sogni, film, romanzi, ci parlano del nostro vuoto

    La depressione sotto soglia è una condizione in cui i sintomi clinici più importanti sono tutto sommato compensati, mentre il soggetto vive comunque un senso di vuoto, di inutilità o di tristezza. Questi possono emergere, per esempio, nei sogni, o nei film che sceglie di guardare, o nei romanzi che decide di leggere. 

    L’insonnia è un indicatore molto importante, lo sappiamo, perché quando dormiamo le difese razionali si abbassano. Ma anche gli interessi artistici lo sono, perché nell’arte sentiamo riverberare cose che a livello razionale fatichiamo a dire. 

    Essere attratti esclusivamente da un certo genere di film, di romanzi, o di musica, (l’horror, per esempio, o il death metal), è certamente un indicatore di disposizioni individuali molto marcate, che sarebbe utile non derubricare a priori a meri gusti artistici.  

  • Il calo del desiderio nelle coppie stabili: leggerlo, gestirlo, comunicarlo.

    Il calo del desiderio nelle coppie stabili: leggerlo, gestirlo, comunicarlo.

    Non sempre il calo del desiderio è sinonimo di crisi di coppia. Questa dinamica nelle relazioni affettive è molto diffusa, più di quanto si potrebbe pensare: in genere viene vissuta con paura e vergogna, ma soltanto raramente è il preludio di una separazione, per le ragioni che fra poco vedremo. E proprio per queste ragioni, è bene che venga affrontata individualmente, da caso a caso, senza generalizzare, perché le motivazioni che la inducono possono essere molto diverse. 

    Calo “orizzontale” e “verticale”

    Anzitutto è bene dividere il problema del calo del desiderio in almeno due grandi capitoli. Da un lato metterei il calo del desiderio in generale, che potremmo qui definire “orizzontale”, ossia la perdita di interesse per la vita sessuale in sé. In questo caso un individuo non sente attrazione verso il partner, ma neppure verso altre persone. Dall’altro lato, invece, metterei la perdita dell’interesse per la persona amata, e potremmo definire questo calo come “verticale”. In quest’altro caso l’individuo sente attrazione per altre persone, oppure anche per altre persone, e questa cosa lo inquieta, al punto da renderlo confuso sul da farsi, cioè non è sicuro di voler interrompere la relazione. 

    Il calo orizzontale potrebbe essere dovuto ad una serie di cause non necessariamente legate all’altra persona, intendo se non marginalmente. Ossia, un individuo può vivere una fase di forte stress lavorativo, o un lutto familiare, oppure ancora l’effetto ritardato di uno di questi eventi. Altrimenti può attraversare una fase depressiva, o essere colpito da ansia e avere attacchi di panico, ecc… In tutti questi casi l’attività sessuale, in quanto attività di relazione con gli altri, potrebbe subire una diminuzione, così come la vita sociale nel suo insieme. Vale a dire le cene con gli amici, le serate in discoteca, e così via. A tutti è capitato di essere meno socievoli in determinati frangenti della vita, e sappiamo che non avere voglia di vedere quel determinato amico per un certo periodo, non corrisponde automaticamente a voler rompere l’amicizia con lui. 

    Il calo verticale, invece, merita un discorso diverso. Scoprire che il partner non è più oggetto di fantasie, mentre lo diventa, invece, un altro individuo, potrebbe essere una cosa molto difficile da gestire. Ma anche in questi casi non è necessariamente l’inizio della fine. In genere siamo attratti da qualcuno anche per ragioni “mentali”, ossia perché ci affascina al di là dell’aspetto fisico. Per esempio si muove in un certo modo, è molto acuto nel parlare, cose di questo tipo. Avere un’infatuazione “mentale” per una persona può determinare il calo dell’interesse per il partner. 

    Altri agenti perturbanti potrebbero essere l’orientamento religioso, o politico, oppure la scoperta di essere attratti da persone con orientamenti sessuali diversi. Anche in questi esempi non è possibile generalizzare, e proprio per questo ho sottolineato come ogni caso vada valutato e affrontato separatamente. 

    Comunicazione social

    Qualche parola a parte va spesa riguardo alla comunicazione in coppia. Sembrerebbe scontato ritenere che se abbiamo un calo di desiderio, il partner dovrebbe automaticamente accorgersene. Le cose, purtroppo, non stanno in questi termini. Gli amanti vivono sovente nell’illusione di saper capire l’altro da uno sguardo, a volte da un gesto. Ma sovente quello che crediamo di cogliere, non è che la nostra stessa volontà, proiettata nell’altro. Così è molto importante, ancorché difficile, trovare canali di comunicazione adeguati, o, per meglio dire, efficaci. Ma per fare questo, se mi passate la polemica, i consigli standardizzati dei social network non sono sempre sufficienti. 

  • Il collega è un narcisista? Ecco cosa fare, e non fare, per difendersi al meglio.

    Il collega è un narcisista? Ecco cosa fare, e non fare, per difendersi al meglio.

    Il narcisismo è una delle reazioni più diffuse alle turbolenze che stiamo attraversando in questi anni. Come diciamo sempre, esistono vari tipi di narcisisti, non tutti ugualmente pericolosi o dannosi per gli altri, ma va da sé che doverci convivere, come in una relazione affettiva, amicale, o tra colleghi in ufficio è talvolta altamente frustrante.

    Origini del narcisismo

    La frantumazione degli equilibri politici, economici, sociali a cui eravamo abituati in passato, sta determinando una progressiva frammentazione del sé e dell’identità individuale. Questo è molto chiaro dagli orientamenti di voto che vengono espressi alle elezioni (meno polarizzati di un tempo), dalla partecipazione alle manifestazioni religiose (meno assidua), dalla fiducia nel futuro (in caduta libera), e da tutta una serie di altri fenomeni popolari che certamente il lettore può facilmente individuare intorno a sé. 

    Per adattarsi a ciò, sono ovviamente possibili diverse reazioni, ma in questo nostro tempo dell’individualismo una delle più comuni è la formazione di tratti di personalità narcisistici. Ossia, un po’ estremizzando, “Le cose vanno male perché nessuno capisce il mio valore.”

    Vivere a contatto di un narcisista è cosa estremamente difficile, perché se da un lato questi crede di necessitare ammirazione incondizionata, dall’altro mostra scarsa empatia verso chiunque. Così avere in ufficio un/una collega narcisista può essere un elemento di disgregazione degli equilibri d’équipe, ammesso, ovviamente, che ne esistano. 

    Come difendersi?

    La reazione più immediata che questi colleghi possono scatenare, infatti, è la creazione (involontaria?, inconscia?) di coalizioni esclusive, che coinvolgano da una parte loro i fans (ovviamente ne avranno) e dall’altra i loro detrattori. Questo tipo di reazione è altamente esaltante per il narcisista, che si sente al centro di contese collettive, ma è anche estremamente pericolosa, in ottica di funzionamento di squadra, perché fa perdere di vista la mission organizzativa.

    Una reazione individuale, invece, che qualcuno potrebbe essere portato a ricercare, è quella della rivalsa: sbugiardare le posizioni del narcisista nel momento in cui mostrano la loro fallacia. Ora, siamo tutti d’accordo che questo sarebbe un piatto al sapore di vendetta, per alcuni certamente gustosissimo, ma anche in questo caso farebbe deragliare il gruppo di lavoro rispetto agli obiettivi per cui è sorto. 

    Inoltre, mai umiliare un narcisista. Le sue reazioni potrebbero essere sconsiderate, proprio in virtù della rigidità con cui si pone verso gli altri, e dell’ammirazione che pretende di avere come il migliore tra i presenti.

  • L’eiaculazione precoce è un problema? Ecco cosa puoi fare.

    L’eiaculazione precoce è un problema? Ecco cosa puoi fare.

    Circa un uomo su tre è incorso, almeno una volta nella vita, in questo spiacevole inconveniente. L’eiaculazione precoce è qualcosa di più di un semplice disturbo, perché tocca nell’intimo chi ne soffre, avvilisce la coppia, e soprattutto ferisce il/la partner, che poi è la vera vittima di questa problematica di cui non ha colpa.  

    Sei troppo bella 

    La prima cosa che si fa, quando si presenta un episodio di eiaculazione precoce, è cercare delle scuse. Credo sia certamente comprensibile dal punto di vista umano, e direi anche una inevitabile e genuina difesa della propria virilità. Sarebbe penoso, infatti, dover ammettere delle responsabilità, in una situazione già di per sé così fortemente imbarazzante. 

    Ma a volte, come dice il detto, la toppa è peggio del buco. Questo perché cercare delle scuse blinda la posizione di chi invece dovrebbe fare autocritica, e trovare il modo per superare questo impasse. Lo mette al sicuro, gli consente di cadere in piedi dicendo “non è colpa mia”. Inoltre, e questa è davvero la peggiore delle conseguenze, la classica accusa, travestita da complimento, “sei troppo bella”, scarica le colpa sul/la partner, che si vede beffata due volte. 

    Alcune/i di questi partner, infatti, reagiscono con ironia, altri scrivendo subito alle amiche, o peggio a potenziali amanti, ma altri ancora iniziano a covare un senso di inadeguatezza, di sfiducia, di bassa autostima.  

    Cosa fare?

    L’eiaculazione precoce, quando non è occasionale, è sovente un fatto di significati. Tutti attribuiamo un significato a quello che facciamo, intendo anche significati impliciti, non del tutto chiari neppure a noi stessi, se non nel loro aspetto più generale, per non dire superficiale. 

    Così frequentiamo un ristorante dimenticando (apparentemente) che in quella via si sono incontrati i nostri genitori, oppure amiamo un profumo che ci lega a qualche ricordo d’infanzia, che però non sappiamo definire con precisione, e così via. 

    Quando l’apparato genitale è privo di disturbi organici, la disfunzione è molto probabilmente legata a qualche significato profondo che a tutta prima ignoriamo. 

    Al di là dei consigli pratici che si trovano su ogni sito, quindi, diventa importante indagare proprio quel significato: non solo è il vero responsabile del nostro comportamento, ma è la garanzia certificata che si ripeterà nuovamente, anche con un’altra persona. E non importa quale scusa riusciremo a inventare, o quale lusinga a immaginare.