Categoria: Giovani

  • Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Nei giorni scorsi un adolescente si è tolto la vita, pare in seguito ad alcuni scambi avuti su un social network con i suoi follower. Il giudizio popolare è stato immediato: la gogna mediatica ha travolto gli strumenti informatici, la pratica delle comunicazioni tra sconosciuti, il costume di raccontare cose intime attraverso post, video o meme. Se il ragazzo è incorso in questo drammatico exitus, tuttavia, la colpa non è dei social network. Il bullismo esisteva anche prima delle reti sociali, ma quello che è cambiato, forse, è il modo in cui gli adolescenti vi fanno fronte: aiutati, o non aiutati, dal loro contesto quotidiano. È di questo che dobbiamo parlare, se vogliamo fornire loro strumenti mentali, e non pretesti. 

    Prima del cyberbullismo 

    Nel 1992 una mia cara amica venne bullizzata in occasione del concerto dei Guns N’ Roses. Su una rivista per giovani, questa ragazza pubblicò il suo numero di telefono sotto all’inserzione in cui cercava compagnia, per non fare il viaggio da sola. Nei giorni prima del concerto, avvenne che un gruppo di baldi, credendola molto brutta, la chiamò a quel numero, e la apostrofò dileggiandola volgarmente. La mia amica per tutta risposta scoppiò in lacrime, e fu lì che avvenne qualcosa che, oggi, potrebbe avere dell’incredibile. Il padre, fan dei Ricchi e Poveri, comprò due biglietti per lo stadio, e pensò lui stesso a portarla a vedere Axl Rose e compagni. 

    Ora, questo esempio deve fare concludere una sola cosa: l’adolescente sul social network non è stato ucciso dal cyberbullismo, ma dalla solitudine. Il padre della ragazza ha colto al volo la difficoltà della figlia, l’ha presa seriamente, e ha creato anzitutto un ambiente facilitante. Molto probabilmente quel ragazzo non ha trovato, per esempio a scuola, un contesto in cui portare il suo disagio. L’ha espresso, invece, sui social network, esponendosi all’aggressione dei bulli. Quindi chi ha sbagliato: lui, o chi non gli ha fornito questo contesto? 

    Come, ragionevolmente, non possiamo immaginare un mondo senza guerra, perché la prevaricazione fisica tra umani è un dato di fatto del loro modo di relazionarsi, allo stesso modo non possiamo sognare un mondo senza bullismo, o cyberbullismo. Quello che possiamo immaginare, invece, è la costruzione, e la diffusione, di strumenti atti alla difesa. 

    Adolescenti in palestra

    L’adolescente ha bisogno di una palestra. Intendo di un luogo, che non deve essere solo fisico, in cui sperimentare diverse capacità, apprendere o affinare quelle in cui scarseggia, e, se necessario, abbandonare quelle che non fanno per lui. 

    Il contesto scolastico, o quello familiare, devono fornire questo luogo, in maniera diretta, o anche indiretta. Da un lato sarebbe importante che gli adolescenti avessero spazi propri di confronto, anche in gruppo, sulle tematiche del loro mondo interiore. Dall’altro, però, anche i genitori e gli insegnanti dovrebbero avere uno spazio simile. Sono gli adulti a costruire l’ambiente in cui gli adolescenti si muovono, e questo ambiente non è solo fisico, è anche un ambiente mentale. Così, ancor prima di approdare sulle piattaforme online, i ragazzi frequentano luoghi e contesti, che hanno la responsabilità di essere accoglienti e facilitanti. 

    L’adolescente invisibile a casa, a scuola, in parrocchia, al campo di allenamento, va inevitabilmente in cerca di like. Per avere, se non altro, qualche rimando: su ciò che è, ma soprattutto su ciò che vorrebbe diventare. 

  • Bondage e dintorni: la coppia BDSM

    Bondage e dintorni: la coppia BDSM

    Con BDSM si intende una serie di pratiche sessuali il cui acronimo sta per:  Bondage (legare), Dominazione, Sadismo, Masochismo. L’argomento è, chiaramente, molto privato, e per questo è difficile avere dati statistici certi. Si stima, tuttavia, che circa il venti per cento degli Italiani abbia utilizzato almeno una volta pratiche di questo tipo. In conseguenza a questa alta diffusione nella popolazione, BDSM non definisce automaticamente un comportamento patologico: c’è chi, infatti, l’ha sperimentato per curiosità, chi per noia, o chi semplicemente perché incuriosito sul tema dal partner o dalle frequentazioni amicali. Vediamo di fissare alcuni punti su cui definire quando il ricorso massivo a condotte sadiche e/o masochistiche può essere definito patologico. 

    Provare dolore per provare piacere

    Il primo elemento da analizzare e su cui riflettere. In genere, per ottenere un piacere ricerchiamo il piacere, e per provocare agli altri un dolore, infliggiamo dolore. La cosa è talmente pacifica che nessuno penserebbe mai di mettere del sale nel caffè, per gustarlo meglio. Così come nessuno calzerebbe delle scarpe strette, per passeggiare più felicemente, o farebbe un bonifico a un suo nemico, per fargli un dispetto. La percezione che abbiamo di ciò che è piacevole e di cosa non lo è, così come appreso negli anni sulla nostra pelle, ci conduce a fare tutti i giorni la scelta più desiderabile, e scartare le altre. Nelle pratiche BDSM, al contrario, vige un’equivalenza differente: per aumentare, o prolungare, il piacere infliggo a me stesso, o all’altro, delle costrizioni o delle punizioni

    Avere atteggiamenti sostanzialmente sadomasochistici non è tipico della sfera sessuale. Alcune culture organizzative sono basate proprio sulla capacità stoica di sostenere sforzi eccessivi, nell’attesa di un riconoscimento successivo. Per non parlare delle privazioni previste da certe pratiche religiose, che molti attuano ciclicamente. Nessuno si sogna di definire patologiche tali rinunce. Chiaramente deve esserci una misura, un limite, che può essere quello di quanto, concretamente, si consideri piacevole la privazione, la punizione o l’umiliazione, (nel caso delle pratiche BDSM). Ossia il limite non può essere superato, se la rinuncia diventa un supplizio. Oppure, più propriamente, dovremmo capire quanto essa ci faccia sentire  riconosciuti, quanto ci restituisca un clima confortevole. Perché se un individuo si sente a suo agio quando vilipeso, più di quando non lo è, al punto da aver bisogno di provare dolore, per arrivare a provare piacere, allora le cose cambiano. 

    Il piacere di essere sottomessi

    Un altro punto su cui indagare: la cultura della libertà. Con estrema difficoltà riusciamo a rintracciare tratti comuni del nostro vivere con quello di nostri simili, e infatti, notoriamente, amiamo dividerci su tutto. Tra cittadini italiani, ma anche tra cittadini europei, e così ’ via, non c’è argomento su cui non litighiamo anche ferocemente. La libertà e la democrazia, invece, restano il comune denominatore sotto il quale non siamo disposti a scendere, attaccati come siamo al privilegio di esprimere sempre qualunque nostra posizione, anche la meno sensata, anche la meno richiesta dagli altri.  

    La difesa della libertà, ha condotto, in quest’ultimo periodo, persino alla rivolta del politicamente corretto. Sono state messe al bando espressioni e locuzioni popolari o familiari, perché ritenute irrispettose della dignità e del decoro di individui o della loro professione. Dalle posizioni sessiste al vituperato patriarcato, dalle minoranze linguistiche allo schiavismo, tutto è stato messo in revisione. Luca Ricolfi ci informa che negli Stati Uniti d’America è stata persino modificata la denominazione del cavo per amplificatori musicali jack maschio e jack femmina, perché irrispettosa, e sostituita con la versione più neutra plug e socket. 

    Tutta questa fame per la libertà si stoppa, improvvisamente, davanti al BDSM e alle sue sfumature di grigio. Nel privato qualcuno diventa improvvisamente illiberale, al punto da sottomettere o essere sottomesso. Da dove arriva questa svolta schiavista, quale piacere, concretamente, può fornire? Oppure di nuovo, è un fatto di riconoscimento, di sentirsi accettati, se non altro in quella situazione di sottomissione? 

    Un altro controsenso: il contratto

    Sappiamo di come le pratiche BDSM avvengano, sovente, sotto la copertura di un contratto. Da un lato, evidentemente, il contratto fornisce una difesa in caso di svolta tragica delle torture, anche se ci sarebbe da capire, all’atto pratico, quanto concreta in un’aula di tribunale. Dall’altro lato, cosa secondo me più rilevante, con il contratto si cerca un consenso

    Se sto facendo qualcosa di previsto, concordato, moralmente accettabile, a cosa mi serve un accordo? Sappiamo che i debiti di gioco sono sostanzialmente debiti d’onore, e quindi un patto fatto per gioco, ha un potere vincolante maggiore a quello della parola data? La presenza di un contratto, nelle pratiche BDSM, quindi, è l’aspetto più sinistro, quello che svela qualcosa di più sulle logiche profonde che legano i membri della coppia

    Sottomettere qualcuno, specie se considerato piacevole, dovrebbe essere secondo la propria coscienza. Essere vilipesi, umiliati, o percossi, se piacevole, dovrebbe essere secondo coscienza. Se, al contrario, sto facendo qualcosa di sbagliato, al punto da avere bisogno di un consenso esplicito, forse c’è qualcosa che non va.   

    La coppia BDSM

    Siamo pronti, quindi, a definire la coppia BDSM, che non è semplicemente quella che saltuariamente, per gioco, fa uso di queste condotte: nella coppia BDSM la modalità relazionale tipo è sadomasochista, e le pratiche di dominazione violenta o umiliante non si limitano alla sfera intima. Al contrario, sono la struttura su cui si fonda l’impianto relazionale della coppia, e che, evidentemente, corrisponde ad alcuni principi cardine della psiche individuale dei due partner. 

    Il sadomasochismo della coppia BDSM, inoltre, ha talvolta un funzionamento talmente patologico da dover essere giustificato, scusato, da un contratto: la cosa che in assoluto più allontana la dinamica di una coppia basata sull’amore e il rispetto reciproco, da una basata sulla perversione.  

  • Hermione Granger: la Natasha Rostov del nostro tempo

    Hermione Granger: la Natasha Rostov del nostro tempo

    Raramente un personaggio letterario entra nelle fantasie del pubblico così in profondità, da rappresentare archetipi di cultura collettiva. Uno di questi è senza dubbio Hermione Granger, la protagonista femminile della saga di Harry Potter, che il lettore certamente conoscerà, senza il bisogno di altre presentazioni.

    Dico raramente perché la letteratura è piena di eroi, anche molto ben riusciti, ma che in genere non escono dai libri, per entrare nel nostro inconscio collettivo. È questo il caso, invece, di Rossella O’Hara di Via col vento, per esempio, che nella battuta finale del film incarna tutta la speranza che riponiamo nel domani. O di Perpetua dei Promessi sposi, talmente caratteristica da dare il nome a tutte le donne a servizio dai sacerdoti. Oppure di Natasha Rostov, che oltre ad essere la (co)protagonista di Guerra e Pace, riesce a rappresentare il prototipo della donna ottocentesca (e non solo). E poi c’è lei, Hermione Granger, non a caso l’unico personaggio di fantasia che mi viene da associare a questi esempi immortali. 

    Abbiamo già detto di come alcuni personaggi della letteratura (del cinema, della tv, ecc…) abbiano un potere speciale: esistono pur senza essere mai esistiti. E questo perché hanno vissuto dentro di noi. Alcune persone depresse sono disperate, morte dentro, proprio perché sentono di non esistere nella mente di nessuno. È vivere nella mente di qualcuno, dunque, che discrimina tra essere o non essere. E alcuni eroi della fantasia sono molto più di individui reali, proprio perché vivi nella mente del pubblico. 

    Hermione Granger arriva nella vita di Harry Potter, e del suo amico Ron Weasley, in maniera rocambolesca. Ha l’antipatia tipica della ragazzina del primo banco, la più brava, quella che mai confesseresti di amare. E infatti, forse, l’amiamo da subito, anche da quando ci sta ancora visceralmente antipatica. È così perché sentiamo che ci assomiglia, ha la stessa foga di quando siamo in difficoltà. E quando dobbiamo mostrare di sapere, dobbiamo dimostrare il nostro valore. E questo per il femminile, nel mondo della scuola, ma non solo, è tutt’altro che affare da poco. Draco Malfoy, invece, (gli dedicheremo un altro spazio) non deve dimostrare niente a nessuno, è pieno di sé, e per questo ne abbiamo una repulsione strutturata. 

    Hermione ci cattura. La sorte (ma sarebbe comunque questione di tempo) consente di mostrare ai tre i veri volti reciproci, l’amicizia tra loro matura, e la ragazza si mostra per qualcosa di diverso. È l’intelligenza a farla saggia, non la paura. È la sua natura Babbana a farla rispettosa della legge, non il falso moralismo. Ecco che qui Hermione esce dalla finzione letteraria, per entrare nella storia di ciascuno di noi, forse ancora di più del protagonista, la cui vita pre Hogwarts ha un che di paradossale. 

    In Hermione non c’è niente di paradossale, c’è soltanto la tenacia di tutti quelli che non si rivedono in Malfoy. E infatti (già segretamente innamorati), segretamente cominciamo a fare il tifo per lei, a sperare in lei, quando c’è da salvare il nostro eroe, a sognare il suo ritorno quando si caccia nei guai. 

    Perché in fondo lo sappiamo: nel nostro mondo la magia non c’è, e quando non è possibile risolvere le cose con un colpo di bacchetta magica, se almeno avessimo lei, accanto, tutto ci apparirebbe enormemente più facile. E non è poco, per un’eroina fantastica. Hermione Granger è una novella Natasha Rostov, potremmo dire. Nella certezza che nessuno se ne prenderà a male.  

  • La gelosia patologica

    La gelosia patologica

    Avete mai visto un musicista geloso del suo strumento? E un botanico delle sue piante, o uno scrittore difendere le bozze del suo prossimo libro? Entro certi limiti, come tutte le manifestazioni dell’animo umano, anche la gelosia è un fatto fisiologico. Anzi persino positivo, perché ci parla di affezione, attaccamento, amore. 

    Il tango della gelosia

    Proprio questo attaccamento, però, può essere una lama a doppio taglio. Il nostro naturale istinto (ben educato dal modello sociale del capitalismo), ci porta a controllare le manovre che gli altri compiono intorno alle nostre proprietà. È un fatto istintivo: temiamo che ciò che è nostro possa finire in mano altrui. D’altro canto, sentiamo anche un piacere intimo quando agli altri piace qualcosa che ci appartiene, anche se talvolta non vorremmo ammetterlo. Il complimento per la nostra bella auto, per quanto vecchia, fa certamente piacere, così come l’apprezzamento per una foto scattata anni fa, un canzone scritta in gioventù, o un progetto realizzato contro il parere di molti. 

    Lo stesso vale, inevitabilmente, per le relazioni amicali o affettive, anche se, evidentemente, e qui dovremmo aprire una parentesi troppo grande da poter essere chiusa, una persona non ci appartiene come uno strumento musicale, un’automobile, o un progetto artistico. Quello che ci appartiene di una persona è la relazione che abbiamo con lei. È di quella che siamo gelosi, perché ci entra in profondità, e determina, in qualche modo, ciò che noi siamo ai suoi occhi. 

    Mio fratello, mia moglie, la mia psicoanalista: in questi casi il possessivo non si riferisce alla persona, ma al legame, ed è un legame di cui siamo gelosi, perché rappresenta qualcosa di piuttosto esclusivo nella nostra vita. Di fratelli, al massimo se ne possono avere alcuni, di mogli si potrebbe arrivare a tre o quattro, di psicoanalisti, se tutto va bene, nella vita ne avremo uno soltanto. 

    Relazione e attaccamento

    Ecco quindi che cominciamo a legare la gelosia con la relazione, ossia con ciò che noi siamo, o rappresentiamo, per l’altra persona. Il musicista geloso del suo strumento, per tornare all’esempio iniziale, ad un certo punto sposterà la gelosia sulla competenza, ossia su quello che succede tra lui e lo strumento (che forse non possiamo chiamare relazione.) E penserà che, per quanto altri possano avvicinarsi a suo oggetto, quelle determinate note, con quella certa intensità, potrà produrle soltanto lui. 

    Le relazioni affettive, invece, sono determinate dal modello di attaccamento a cui facciamo riferimento. Se siamo stati abituati a sentire fedeltà da parte degli altri significativi, ci aspetteremmo, per natura, fedeltà. Se abbiamo una storia di abbandoni, perdite, di sofferenze legate a figure che ci hanno lasciati per altri, saremmo orientati alla diffidenza, alla paura di essere nuovamente abbandonati, e di conseguenza alla gelosia morbosa, patologica. 

    La gelosia, come altre manifestazioni dell’animo umano, è un fatto fisiologico. Ma la gelosia patologica è spesso la traccia di qualcosa di arcaico, di un conto in sospeso con il destino, di una fiducia mal riposta, e che ci ha feriti. Il più delle volte non riguarda la persona verso cui la proviamo, ma qualcosa e qualcuno che viene da più lontano. Anche per questo andrebbe presa seriamente, perché rischia di rovinare tutte le belle relazioni cha abbiamo costruito. E portandoci a confermare, di conseguenza, le diffidenze di cui siamo vittime. 

  • Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone, o (friendzone), zona dell’amico, è la situazione in cui, in una coppia di amici, uno dei due è segretamente innamorato dell’altro, o comunque fortemente attratto, ma non può esprimere i priori sentimenti, perché sente di essere visto, per l’appunto, “soltanto” come un amico. 

    Friendzonare qualcuno, quindi, significa inserirlo in quella lista di persone che non ci sentiamo di definire in altro modo che come dei buoni amici. 

    Errata comunicazione

    Nel film Yesterday di Danny Boyle (2019), Jack Malik è un cantautore di scarsa fortuna, che suona nei pub e ai festival di terza categoria, che si tengono nella sua città natale. Nessuno crede in lui come artista, per lo meno fino a quando non trova il modo di riproporre i classici dei Beatles, che nel frattempo il resto del mondo ha dimenticato. Nessuno, dicevo, crede in Jack, tranne la sua manager, autista, amica e confidente Ellie Appleton. Alla festa di addio, con amici e parenti, prima della partenza di Jack per Hollywood, Danny Boyle piazza una scena cruciale: Ellie, in lacrime, confessa di essere da sempre innamorata di Jack, e gli chiede come sia stato possibile che l’abbia inserita nella “colonna sbagliata”, ossia nella colonna “amica”, anziché nella colonna “fidanzata”. Jack trasecola, e scopre di avere friendzonato Ellie, ma il guaio peggiore è che non si è mai accorto di averlo fatto.

    Osservando la coppia di questi due ragazzi, possiamo chiederci se la relazione che culmina con la friend zone non abbia delle caratteristiche tipiche, ricorrenti, che possono essere osservate in anticipo.  

    Anzitutto direi di distinguere la friend zone in due macro categorie: quella in cui si viene friendzonati, e quella in cui, invece, si finisce per friendzonare qualcun altro.  

    Ora, dobbiamo ammettere che la prima motivazione in assoluto per cui si viene visti come semplici amici sia lo scarso interesse. Se non suscitiamo attrazione, se l’altra persona non si sente attratta da noi, sarà molto più facile che ci veda come amico, e difficilmente riusciremo a conquistarla. 

    Una seconda motivazione per cui si finisce in una friend zone, però, riguarda la comunicazione. Se nella vita affettiva ci capita questo spiacevole imprevisto, e soprattutto se ci capita più di una volta, dovremmo chiederci: quale messaggio stiamo inviando? L’errore di comunicazione è più diffuso di quanto si creda, ed è sovente collegato all’insicurezza, o alla paura di essere respinti. In questi casi, talvolta, si tende a mantenere un profilo più basso e distaccato di quanto si vorrebbe, per paura che l’altro capisca il nostro interesse e ci allontani. Il caso di Ellie e Jack, nel film Yesterday, può rientrare in questa seconda casistica. E infatti il ragazzo si innamora immediatamente della sua ex manager, non appena scopre i veri sentimenti di lei. 

    L’assioma di Miss Liceo

    L’altra grande categoria è quella in cui si mette qualcuno nella friend zone, salvo poi pentirsene amaramente. Potremmo definire questa sventurata eventualità come l’assioma di Miss Liceo. Sappiamo tutti che l’alunna, o l’alunno, più in vista della scuola, raramente si fidanza con il compagno di banco, il ragazzino affidabile e premuroso, sempre gentile, disponibile ad aiutare nei compiti. Questa situazione, che certamente può essere indotta da opportunismo, non raramente nasconde, invece, qualcosa di più profondo. Miss Liceo (Mr Liceo) ha un potere enorme su tutti i compagni della scuola. È popolare, fa tendenza, ma soprattutto non ha veri nemici, nessuno contraddice le sue mosse. 

    Immaginiamo Miss Liceo innamorata del compagno di banco: cosa resterebbe della sua popolarità? Dovendo scegliere tra il potere e l’amore, sarebbe indotta a friendzonare l’amico? L’assioma di Miss Liceo, che per la verità si ripete anche in ufficio, in palestra, in spiaggia, e via dicendo, ci suggerisce una riflessione molto importante su noi stessi. Quando siamo noi a friendzonare qualcuno, potremmo chiederci: per quale motivo questa ragazza/ragazzo, non ci piace abbastanza? Siamo davvero sicuri che non sarebbe un successo accettare le sue avance? E ancora, ma qui ci vuole davvero tanta elasticità mentale: quale tipo di immagine interiore di noi stessi metterebbe in crisi, allacciare una relazione con questa persona? 

  • Liguria: vademecum per foresti

    Liguria: vademecum per foresti

    Riconosci un foresto in Liguria da come si muove, perché pare un babbano a Hogwarts. “Dove sono capitato?” sembra chiedersi ad ogni angolo. Lo vedi che si sforza di mostrare disinvoltura, ma è profondamente a disagio. “Sono tutti matti, o mi sfugge qualcosa?”. Il foresto (forestiero, in dialetto ligure) arriva in Liguria con delle aspettative irrealistiche, che logicamente finiranno illuse. L’aspetto paradossale di questo suo atteggiamento, è che raramente farebbe gli stessi errori visitando, poniamo, Venezia, Otranto o Erice. Il turista milanese, o torinese, ad esempio, in patria è abituato a parcheggiare lontano dallo stadio, dall’università o dal ristorante. Anzi, ha imparato a usare la mobilità dolce, i mezzi pubblici, persino a muoversi a piedi. Quando arriva in Liguria, invece, dà in escandescenze perché non trova parcheggio davanti alla spiaggia. O per altre cose di questo tipo. 

    Ho pensato, così, a questo piccolo vademecum per foresti: per dire che anche in Liguria è necessario entrare in punta di piedi, con garbo e meraviglia. E non perché sia casa di altri, cosa che già basterebbe, ma perché è un territorio profondamente diverso da quello da cui proveniamo.

    In Liguria non c’è solo il mare

    La prima cosa ostica da imparare, per il foresto, è che in Liguria non c’è solo il mare. Chi arriva dalla città, sia chiaro, sogna la spiaggia. Ma soffermarsi sul mare, in Liguria, è come salire su una Ferrari e fissare il volante. Prendiamo un babbano che arrivasse a Hogwarts. Appena giunto vedrebbe anzitutto il castello, imponente e misterioso, e un sacco di gente strana aggirarsi nei suoi paraggi. Ma se non sapesse nulla del Mondo Magico, del Lago Nero, o non avesse mai sentito nominare Harry Potter, ne avrebbe certamente un’esperienza parziale, vuota, se non del tutto deludente. Allo stesso modo, vivere la Liguria non è unicamente frequentare le sue spiagge: il rapporto con il mare è solo una parte della cultura ligure. Direi di più, è una parte dell’identità profonda dei suoi abitanti. Che infatti continuiamo a non capire, se confondiamo per il tutto, cioè che è solamente uno dei loro confini. 

    Il cosiddetto entroterra è ricco di sorprese di ogni tipo, soprattutto dal punto di vista culturale, artistico ed enogastronomico. Dalle grotte carsiche ai musei paleontologici, dai campi da golf a borghi infestati dalle streghe, per non dire dell’antica cultura dell’ulivo e dell’olio. Tutti questi sono aspetti che determinano la personalità, l’identità della Liguria, e di conseguenza anche dei suoi abitanti. 

    E poi c’è la grande storia delle invasioni saracene, su cui torneremo fra poco. Ignorare questa pagina drammatica della storia, è il peggior delitto che possa compiere il foresto verso questa regione.  

    I liguri detestano il caos

    Il foresto milanese, o torinese, è per sua natura abituato a muoversi nel traffico, nella ressa, nel caos. Noi viviamo in circoscrizioni di 150 mila abitanti: ci spintoniamo per entrare in metropolitana, arriviamo alle mani per un parcheggio, facciamo la fila alla domenica per entrare in pasticceria. Tutto questo è sconosciuto a chi vive in miti cittadine di tre/quattromila abitanti. In alcuni paesi di Liguria ci si conosce tutti, per le strade non c’è mai nessuno, e quando vedi un’auto bianca laggiù, svoltare in una certa direzione, hai già capito che si tratta di Tizio che va a trovare Caio. 

    Non è corretto dire che i liguri non siano accoglienti: piuttosto, detestano il caos. Immaginate la vostra città gonfiarsi di dieci volte (queste le proporzioni del turismo secondo le autorità) per due mesi all’anno: diciamo una Milano con trenta milioni di persone. La Liguria viene invasa in un periodo in cui fa caldo, e a tutti darebbe fastidio avere addosso gente sconosciuta, per giunta piena di pretese. 

    Una di queste pretese, direi incredibile, è quella del parcheggio. Perché anche questa è una bella discrasia psicologica. Il turista pretende di arrivare in una città di poche migliaia di anime, e trovare parcheggi multipiano in riva al mare, adibiti per migliaia di automobili. E non solo una volta la giorno. Al mattino, per andare in spiaggia. Al pomeriggio, per l’aperitivo. E anche alla sera, per il gelato sul dondolo vista mare, come se anche tutti gli altri non avessero lo stesso desiderio. 

    Per tornare all’esempio di Hogwarts, pensiamo al babbano, che abituato allo stadio si trovi, suo malgrado, ad una partita di Quiddich. Nel comprendere le situazioni, la cornice mentale è estremamente importante. Se qualcosa avviene in una cornice diversa dalla nostra, stentiamo a comprenderla. Come il babbano non ci capirebbe niente, non ci si raccapezzerebbe, allo stesso modo il foresto in Liguria stenta a comprendere il rapporto con gli spazi, che per lui è molto diverso.   

    Inoltre c’è un aspetto culturale profondo, che nessuno tiene in debito conto. Alcuni borghi di Liguria sono stati vittime, nella storia, di svariate invasioni da parte dei corsari turchi e saraceni. Arrivavano di notte dal mare, mettevano a ferro e fuoco la città, rapivano gli uomini valorosi e le ragazze più giovani. Qualcuno può immaginare il terrore in cui vivevano le popolazioni colpite da simili episodi? I racconti, le leggende, che questi eventi hanno originato? I rapporti difficili con Genova, che avrebbe dovuto difenderli e non l’ha fatto, e tutta la coda di odio che possiamo soltanto supporre. Avere nella propria storia traumi di questo tipo, deve rendere piuttosto sensibili alle invasioni, per quanto benevole possano essere. 

    I paguri non sono d’allevamento

    Generazioni di bambini foresti sono cresciute con la pesca sportiva nelle acque liguri. 

    Orate, cernie, scorfani, ma anche granchi, polpi, stelle di mare, e, naturalmente, paguri. Ora, avete mai visto un babbano a Hogwarts staccare un ritratto parlante per portarselo a casa? Ecco, la sensazione è un po’ la stessa. I quadri parlanti della saga Harry Potter non sono appesi ai muri della scuola per compiacere i visitatori, ma hanno una precisa ragione. Inoltre, nessuno ha mai lontanamente pensato di potarseli via. Allo stesso modo, la fauna marina della Liguria non è d’allevamento, non serve per aiutare il turista a fare colpo sulle ragazze. 

    La pesca sportiva non è proibita, sia chiaro, l’hanno praticata un po’ tutti. Ma anche questo elemento del turismo andrebbe modulato ai volumi di afflusso. Perché la pesca massiva può portare a sbilanciamenti nelle popolazioni ittiche. Oggi siamo più consapevoli in tutte le cose che facciamo, dai trasporti all’alimentazione, dall’uso delle plastiche al consumo dell’acqua. Così anche il turismo può diventare più “responsabile”, basta provare a riflettere su comportamenti che un tempo non avevano nessuna ragione di essere messi in dubbio.  

    Ecco, questo può essere un breve vademecum per affrontare la Liguria in maniera più ragionevole. E uscire da quella goffaggine tipica che prende il babbano, quando scende dall’omonimo Espresso, e raggiunge il grande castello di Hogwarts. 

  • ¿Es la eyaculación precoz un problema? Esto es lo que puedes hacer.

    ¿Es la eyaculación precoz un problema? Esto es lo que puedes hacer.

    Aproximadamente uno de cada tres hombres ha incurrido, al menos una vez en su vida, en este desagradable inconveniente. La eyaculación precoz es algo más que un simple trastorno, porque toca el corazón de quienes la padecen, degrada a la pareja y, sobre todo, perjudica a la pareja, que entonces es la verdadera víctima de este problema del que no tiene la culpa. 

    Eres demasiado hermosa 

    Lo primero que haces, cuando tienes un episodio de eyaculación precoz, es buscar excusas. Creo que es ciertamente comprensible desde el punto de vista humano, y también diría que una inevitable y genuina defensa de la propia virilidad. Sería doloroso, de hecho, tener que admitir la responsabilidad, en una situación que ya es tan vergonzosa en sí misma. 

    ….

    La clásica acusación, disfrazada de cumplido, “eres demasiado guapa”, traslada la culpa a la pareja, que se ve ridiculizada dos veces. 

    Algunas de estas parejas, de hecho, reaccionan con ironía, otras escriben inmediatamente a sus amigos, o peor aún, a los posibles amantes, pero otras comienzan a albergar una sensación de insuficiencia, desconfianza, baja autoestima. 

    ¿Qué hacer?

    La eyaculación precoz, cuando no es ocasional, suele ser una cuestión de significado. Todos atribuimos un significado a lo que hacemos, me refiero también a significados implícitos, no del todo claros ni siquiera para nosotros mismos, excepto en su aspecto más general, por no decir superficial. 

    Artículo completo en: www.fabioconvertino.it

  • Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nella mia pratica quotidiana incontro sempre più frequentemente problemi sessuali, anche di forme diverse rispetto a quelle, per così dire, tradizionali. Disfunzioni erettili occasionali o episodi di eiaculazione precoce per gli uomini, difficoltà legate all’orgasmo o perdita dell’interesse sessuale per le donne, ecc… . 

    La paura del corpo e il politicamente corretto

    Una delle ragioni di quella che possiamo definire un’involuzione delle dinamiche relazionali, è certamente l’ondata di terrore per il corpo che si è propagata nel post pandemia da Covid-19. Le tecnologie oggi consentono relazioni asettiche, con scambio istantaneo di immagini e video privati, che alla lunga creano una bolla di comfort informatico. Da un lato, questi scambi mettono al riparo da rischi di contagio che inevitabilmente la prossimità umana comporta. Dall’altro, vediamo che il contatto in presenza non è più necessariamente l’inizio di una relazione, ma talvolta il passo successivo a scambi di messaggi, foto o video andati a buon fine. Così avviene che per alcuni il passaggio al corpo, e al corporeo, è una prova dei fatti (declamati,  millantati?) non facile da sostenere.  

    E poi c’è la concomitante esplosione (sacrosanta) del politicamente corretto. Se da un lato, finalmente, tutti si sentono meno autorizzati a fare quelle odiose battute a doppio senso, quelle allusioni viscide, che da sempre mettono in imbarazzo non solo chi ne è il bersaglio, il rovescio della medaglia è un raffreddamento generale della self confidence. I più timidi (di ogni genere) possono sentirsi sotto esame ogni volta che fanno qualche approccio, e più in generale possono percepire su di sé giudizi o aspettative che un tempo non si pensava di avere. 

    Fuga dalla competizione

    Ad un livello più profondo, i nuovi problemi legati alla relazione, e che si manifestano soprattutto nell’attività sessuale, sono associati ad una sempre maggiore difficoltà di entrare in competizione. Vediamo comunemente, ormai, condotte di evitamento attivo della competizione, in ogni ambito della vita del nostro Paese. I politici in crisi di consensi cambiano partito, anziché impegnarsi a recuperare voti con quello a cui sono iscritti. Sportivi professionisti chiedono ai procuratori di cambiare società o campionato, quando sentono di non avere fiducia da parte dell’ambiente, anziché mettersi di impegno per mostrare il loro valore. E via di questo passo. 

    La tendenza a pretendere a priori un certo tipo di riconoscimento, prima ancora di aver dimostrato di meritarlo, è parte di molti atteggiamenti che a vario titolo abbiamo definito egocentrici, egoistici, individualistici, narcisistici ecc… . Ossia atteggiamenti di chi non è disposto a conquistare qualcosa, perché ritiene gli sia dovuta. 

    Se nella coppia in una crisi questo può portare, nei casi più gravi, a scontri violenti, nella coppia in divenire può definire difficoltà sul piano sessuale. Perché devo impegnarmi a fare qualcosa che mi è dovuta? Perché devo raggiungere, conquistare, sedurre? L’intimità necessita di un certo impegno, ma probabilmente non tutti lo sanno. Anche di questo si parla sempre troppo poco, e, malauguratamente, anche sempre troppo a vanvera. 

  • Tiki-Taka e autolesionismo

    Tiki-Taka e autolesionismo

    Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, e guru mondiale del Tiki-Taka, vittima di piccoli gesti autolesivi

    I benpensanti hanno subito accusato il famoso personaggio di non essere pago della sua fortuna, ma si sa, e proprio qui vediamo che non è una frase fatta, i soldi, di per sé, non danno la felicità. Nell’impossibilità di commentare i comportamenti e la psiche di Guardiola, perché non è mio paziente, e anche nel caso non avrei certo potuto farlo, vorrei però fare alcune riflessioni sulla rabbia, l’aggressività e l’autolesionismo

    Aggressività passiva

    Il famoso allenatore ci racconta una cosa molto chiaramente. A tutti i livelli è bene sviluppare una buona consapevolezza della nostra parte oscura, e trovare vie adeguate di espressione e manifestazione di rabbia e aggressività. Perché l’autolesionismo è una modalità estrema di espressione di queste emozioni, e soprattuto individua in noi stessi il colpevole di qualcosa di terribile. Qualcosa per cui meritiamo una punizione. 

    Ognuno di noi ha una certa quota di arrabbiature quotidiane, e il modo in cui le superiamo fa la differenza sull’andamento della nostra giornata. 

    Una modalità poco conosciuta di espressione della rabbia è l’aggressività passiva. Ci sono situazioni in cui siamo contenuti, bloccati, ma gettiamo saette con gli occhi, o con battute al veleno. Oppure ancora con sarcasmo pungente, colpendo persone che non hanno nessuna colpa. L’aggressività passiva è un modo molto disadattativo di superare la tensione. 

    Autolesionismo

    Un modo ancora peggiore, è l’autolesionismo. Colpire noi stessi significa anzitutto riconoscere di non essere adeguati alla sfida che stiamo affrontando, perché una sfida non ci può destabilizzare così profondamente. Ma soprattutto significa ammettere di essere stati talmente cattivi da meritare una punizione. 

    Pep Guardiola ha confessato un piccolo gesto autolesivo, quello di ferirsi lievemente la fronte con le unghie, per sua fortuna è al riparo da gesti più eclatanti. Ma alcuni individui arrivano a graffiarsi violentemente il viso, a procurarsi tagli sulle braccia, a sfidare la morte in gare pericolose, o anche di peggio. Ciascuno di noi deve avere un buon rapporto con la sua rabbia, viverla ed esprimerla in termini adeguati e non distruttivi. In fin dei conti la rabbia ci racconta qualcosa di noi stessi, ci dice che siamo insoddisfatti, e capire dove e come lo siamo, non è cosa da poco. 

    Sadismo e Tiki-Taka

    Resta un altro step, quello sportivo. Qualcuno mi ha persino chiesto se il Tiki-Taka non sia, in fondo, una modalità di gioco passivo aggressiva, in cui l’avversario viene sfinito, quasi deriso, senza una vera logica razionale, una sorta di perversione sadica? È una domanda a cui non so rispondere, perché esula dall’ambito della psicologia sportiva. 

    Posso dire, invece, che ogni forma di arte, ogni filosofia, ogni concezione estetica assomigliano intimamente a chi le ha ideate. E sono amate anche da chi, in qualche modo ci si rivede. Ma di questo parleremo in un’altra sede. 

  • Come riconoscere la depressione “sotto soglia”?

    Come riconoscere la depressione “sotto soglia”?

    Depressione” è uno di quei termini entrati nel linguaggio comune che a volte vengono utilizzati in maniera impropria: ad esempio per spiegare situazioni, condizioni, o stati d’animo, che non necessariamente identificano la patologia psichiatrica cui si riferiscono. 

    Depressione sotto soglia

    Avviene così che uno studente possa dire di essere un po’ depresso dopo la bocciatura ad un esame, che un economista possa definire depresse alcune aree del mondo, o che uno storico possa riconoscere come depressi gli inglesi dopo il referendum per la Brexit. Espressioni, queste, che potrebbero essere enunciate anche in altri modi, senza scomodare le categorie della salute mentale. 

    Di conseguenza a quest’uso talvolta non appropriato della terminologia “psy”, può avvenire anche la situazione inversa, ossia che un individuo viva uno stato che nella sostanza è depressivo, ma che non viene riconosciuto come tale. Una condizione che ricalchi gli aspetti psichici, ma non i sintomi clinici della depressione, invece, può comunque essere considerata una depressione sotto soglia

    Può avvenire, ad esempio, che un individuo attivo, impegnato, e con tanti amici, viva una lunga fase di involuzione. Oppure che uno sportivo entri in un tunnel di tedio, che pur senza inchiodarlo al letto, lo rallenti facendogli sentire tutto estremamente pesante. Oppure ancora, che un individuo per il resto sano, diventi improvvisamente inappetente, malinconico, non interessato alla vita sessuale. 

    Sogni, film, romanzi, ci parlano del nostro vuoto

    La depressione sotto soglia è una condizione in cui i sintomi clinici più importanti sono tutto sommato compensati, mentre il soggetto vive comunque un senso di vuoto, di inutilità o di tristezza. Questi possono emergere, per esempio, nei sogni, o nei film che sceglie di guardare, o nei romanzi che decide di leggere. 

    L’insonnia è un indicatore molto importante, lo sappiamo, perché quando dormiamo le difese razionali si abbassano. Ma anche gli interessi artistici lo sono, perché nell’arte sentiamo riverberare cose che a livello razionale fatichiamo a dire. 

    Essere attratti esclusivamente da un certo genere di film, di romanzi, o di musica, (l’horror, per esempio, o il death metal), è certamente un indicatore di disposizioni individuali molto marcate, che sarebbe utile non derubricare a priori a meri gusti artistici.