Categoria: Giovani

  • Femminicidio: patriarcato? Disperato

    Femminicidio: patriarcato? Disperato

    Altro femminicidio, stavolta una studentessa di 21 anni. I nomi si confondono nelle statistiche, ormai è difficile persino dare un volto alle vittime e ai loro carnefici. Trovare il coraggio di guardare in faccia alla realtà, tuttavia, significa non banalizzare o semplificare il malessere che può generare tali sciagure. Viviamo una società disperata, senza sogni, e la colpa del femminicidio non può essere (solo) del patriarcato. Nella frammentazione di cui tanto abbiamo parlato, che è anche politica e sociale, oltreché psicologica, dilaga l’angoscia, il nulla (nichilismo, ancora tu!), ma quello che spaventa è quanto le giovani generazioni siano intaccate da questa devastazione.

    Disperati

    Imputare la responsabilità del femminicidio (quale: tutti? Solo alcuni?) al patriarcato, è come imputare all’automobile la responsabilità dei morti sulle strade: si resta nel giusto, senza dubbio, ma fino a quando non si scoprono morti sulle moto, sui monopattini, e così via. Il codice della strada garantisce la sicurezza totale di ogni utente, automobilisti e non, se tutti lo rispettassero non ci sarebbero problemi. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che i giovani italiani non hanno speranza, non hanno sogni di futuro, sono pervasi dal vuoto esistenziale, e questo si riflette nelle loro relazioni reciproche. 

    Sia chiaro che dire “i giovani” non ha di per sé nessun senso, infatti estenderei il ragionamento a tutti noi. Qui però parliamo di giovani, perché in questa fascia d’età la piaga del femminicidio è, se possibile, ancora più drammatica. Cosa spinge un ventenne ad accoltellare una coetanea che vuole lasciarlo? Quale ferita è così profonda da non poter essere rimarginata, a vent’anni? Davvero crede di non poter trovare un’altra ragazza, magari una che voglia condividere con lui più di quanto voglia fare questa, cui lui ora toglie la vita? 

    Vuoto esistenziale

    Ovviamente non abbiamo a disposizione le risposte di questi imputati, e infatti il nostro non deve essere un processo a loro come individui. Vogliamo invece interrogarci sul vuoto, sulla mancanza di visione futura, che accomuna tutta la loro generazione. Sulla speranza di poter incidere sul futuro, se vogliamo: sulla speranza di un domani migliore. 

    Sono dati comprovati che gli Italiani frequentano sempre meno la chiesa, e votano sempre in minore percentuale. Ora, quale speranza nell’avvenire può avere chi non crede in niente? Abbiamo perso la fiducia nei politici, d’accordo, ma la fiducia nella politica, ossia nella possibilità di poter dire la nostra su che mondo vorremmo, è tutt’altra cosa. Siamo una generazione apatica, sempre più chiusa in sé stessa, preda del mondo virtuale, che ci sta togliendo anche la voglia di sognare. 

    Persino i più privilegiati hanno paura: multimilionari hanno facce truci, usano termini sempre più aggressivi. E cosa dovrebbero fare i giovani? Respirano quest’aria, in cosa dovrebbero credere? E infatti in un mondo di influencer, persino OnlyFans è diventato attraente. Vediamo profonda indulgenza su quella che è pur sempre una forma di mercimonio del proprio corpo. Qualcuno si meraviglia? Assolutamente no, altro aspetto inquietante. 

    Dobbiamo perciò evitare di individuare risposte facili a questo problema complesso e drammatico. Ci aveva avvisato Michael Ende, con il suo romanzo La Storia Infinita: se saremo preda dell’angoscia e della disperazione, niente e nessuno potrà venirci a salvare dal baratro finale. E il baratro, mi sa, è dietro l’angolo. 

  • “Torna con me, sono cambiato”: implorare l’altro nella crisi di coppia

    “Torna con me, sono cambiato”: implorare l’altro nella crisi di coppia

    Implorare di non essere lasciati, durante una crisi di coppia, è senz’altro la reazione più naturale che possiamo avere, ma anche la peggiore.

    Non ti merito più

    Sono rare le occasioni in cui entrambi i partner accettano la crisi, e la vivono come il naturale decorso di un progetto in declino. Quando una coppia affronta una battuta d’arresto, invece, il più delle volte è in seguito ad un travaglio interiore di uno dei due, che in maniera molto sofferta giunge a delle conclusioni. Mentre l’altro giura di non sapere, di non capire. Posto che ci sarebbe da indagare se davvero uno non abbia mai subodorato nulla, credo sia anche giusto lasciare a ciascuno le proprie difese. Chi nega i problemi, in genere, lo fa perché non riuscirebbe a sostenerne il peso.

    Dicevamo, uno dei due attraversa una fase di dubbio, di tormento, chiede consigli ad amici, e alla fine prende una decisione. Il primo punto da chiarire è il ruolo dell’eventuale amante, o soggetto terzo. Sovente si ritiene che una coppia si separi per colpa di qualcuno che “rompe le uova nel paniere”. Niente di più sbagliato. Nessun terzo incomodo potrà mai sciogliere una coppia sana, in salute, in fase progettuale. La domanda più diffusa, agli incontri di chiarimento, è: “Hai un altro?”. Questa domanda è stupida, e disegna una sconfitta. Quale risposta ci aspettiamo? Sarebbe più facile accettare di essere lasciati per un altro, piuttosto che sapere di aver fallito? E infatti solitamente la risposta è: “Ma no, non ho nessuno, è solo un periodo un po’ così”. Anzi, se va bene chi lascia si prende anche delle colpe, si fustiga, ammette responsabilità: “Non ti merito più”, afferma. Quindi, direi, peggio di prima.

    Ti prego, torna: ti dimostro di essere cambiato

    L’eventuale amante, terzo incomodo, o come lo si voglia chiamare, quando c’è, può senz’altro avere un ruolo fondamentale. Ad esempio può dare al partner indeciso più coraggio, spingerlo ad innescare la separazione. Ma la nuova conoscenza non è mai la vera ragione della rottura. Ed è così che l’altra reazione classica, comprensibile, quasi inevitabile, diventa profondamente cieca, inutile, anzi dannosissima: “Torna con me, stavolta sono cambiato”. 

    Il corollario di tentativi disperati di recuperare, facendo ciò che non si è fatto per mesi, o per anni, non è solo patetico, ma deleterio. Se chi rompe non lo fa perché ha un sostituto, ma perché ha maturato una scelta, vede questi tentativi come una sceneggiata, fuori luogo, prima ancora che fuori tempo. 

    Questi atti disperati distruggono quel poco di dignità che resta, quel poco di appeal (anche erotica), e di credibilità. Poi anziché a ricredersi, aiutano a pensare di aver fatto la cosa giusta. Se una persona è incapace per anni di dire o fare delle cose, e invece ora le fa a ripetizione, perché teme di essere abbandonata, allora forse la storia merita davvero di essere chiusa. 

    Implorare di non essere lasciati, durante una crisi di coppia, è un altro tentativo di mettere sé stessi, le proprie esigenze, davanti alle ragioni dell’altro. È un atto di puro egoismo, ossia proprio l’ultima cosa da mostrare ad un partner preso dai dubbi, a cui abbiamo cominciato ad andare stretti.  

  • Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Adolescenti: invisibili in cerca di like

    Nei giorni scorsi un adolescente si è tolto la vita, pare in seguito ad alcuni scambi avuti su un social network con i suoi follower. Il giudizio popolare è stato immediato: la gogna mediatica ha travolto gli strumenti informatici, la pratica delle comunicazioni tra sconosciuti, il costume di raccontare cose intime attraverso post, video o meme. Se il ragazzo è incorso in questo drammatico exitus, tuttavia, la colpa non è dei social network. Il bullismo esisteva anche prima delle reti sociali, ma quello che è cambiato, forse, è il modo in cui gli adolescenti vi fanno fronte: aiutati, o non aiutati, dal loro contesto quotidiano. È di questo che dobbiamo parlare, se vogliamo fornire loro strumenti mentali, e non pretesti. 

    Prima del cyberbullismo 

    Nel 1992 una mia cara amica venne bullizzata in occasione del concerto dei Guns N’ Roses. Su una rivista per giovani, questa ragazza pubblicò il suo numero di telefono sotto all’inserzione in cui cercava compagnia, per non fare il viaggio da sola. Nei giorni prima del concerto, avvenne che un gruppo di baldi, credendola molto brutta, la chiamò a quel numero, e la apostrofò dileggiandola volgarmente. La mia amica per tutta risposta scoppiò in lacrime, e fu lì che avvenne qualcosa che, oggi, potrebbe avere dell’incredibile. Il padre, fan dei Ricchi e Poveri, comprò due biglietti per lo stadio, e pensò lui stesso a portarla a vedere Axl Rose e compagni. 

    Ora, questo esempio deve fare concludere una sola cosa: l’adolescente sul social network non è stato ucciso dal cyberbullismo, ma dalla solitudine. Il padre della ragazza ha colto al volo la difficoltà della figlia, l’ha presa seriamente, e ha creato anzitutto un ambiente facilitante. Molto probabilmente quel ragazzo non ha trovato, per esempio a scuola, un contesto in cui portare il suo disagio. L’ha espresso, invece, sui social network, esponendosi all’aggressione dei bulli. Quindi chi ha sbagliato: lui, o chi non gli ha fornito questo contesto? 

    Come, ragionevolmente, non possiamo immaginare un mondo senza guerra, perché la prevaricazione fisica tra umani è un dato di fatto del loro modo di relazionarsi, allo stesso modo non possiamo sognare un mondo senza bullismo, o cyberbullismo. Quello che possiamo immaginare, invece, è la costruzione, e la diffusione, di strumenti atti alla difesa. 

    Adolescenti in palestra

    L’adolescente ha bisogno di una palestra. Intendo di un luogo, che non deve essere solo fisico, in cui sperimentare diverse capacità, apprendere o affinare quelle in cui scarseggia, e, se necessario, abbandonare quelle che non fanno per lui. 

    Il contesto scolastico, o quello familiare, devono fornire questo luogo, in maniera diretta, o anche indiretta. Da un lato sarebbe importante che gli adolescenti avessero spazi propri di confronto, anche in gruppo, sulle tematiche del loro mondo interiore. Dall’altro, però, anche i genitori e gli insegnanti dovrebbero avere uno spazio simile. Sono gli adulti a costruire l’ambiente in cui gli adolescenti si muovono, e questo ambiente non è solo fisico, è anche un ambiente mentale. Così, ancor prima di approdare sulle piattaforme online, i ragazzi frequentano luoghi e contesti, che hanno la responsabilità di essere accoglienti e facilitanti. 

    L’adolescente invisibile a casa, a scuola, in parrocchia, al campo di allenamento, va inevitabilmente in cerca di like. Per avere, se non altro, qualche rimando: su ciò che è, ma soprattutto su ciò che vorrebbe diventare. 

  • Bondage e dintorni: la coppia BDSM

    Bondage e dintorni: la coppia BDSM

    Con BDSM si intende una serie di pratiche sessuali il cui acronimo sta per:  Bondage (legare), Dominazione, Sadismo, Masochismo. L’argomento è, chiaramente, molto privato, e per questo è difficile avere dati statistici certi. Si stima, tuttavia, che circa il venti per cento degli Italiani abbia utilizzato almeno una volta pratiche di questo tipo. In conseguenza a questa alta diffusione nella popolazione, BDSM non definisce automaticamente un comportamento patologico: c’è chi, infatti, l’ha sperimentato per curiosità, chi per noia, o chi semplicemente perché incuriosito sul tema dal partner o dalle frequentazioni amicali. Vediamo di fissare alcuni punti su cui definire quando il ricorso massivo a condotte sadiche e/o masochistiche può essere definito patologico. 

    Provare dolore per provare piacere

    Il primo elemento da analizzare e su cui riflettere. In genere, per ottenere un piacere ricerchiamo il piacere, e per provocare agli altri un dolore, infliggiamo dolore. La cosa è talmente pacifica che nessuno penserebbe mai di mettere del sale nel caffè, per gustarlo meglio. Così come nessuno calzerebbe delle scarpe strette, per passeggiare più felicemente, o farebbe un bonifico a un suo nemico, per fargli un dispetto. La percezione che abbiamo di ciò che è piacevole e di cosa non lo è, così come appreso negli anni sulla nostra pelle, ci conduce a fare tutti i giorni la scelta più desiderabile, e scartare le altre. Nelle pratiche BDSM, al contrario, vige un’equivalenza differente: per aumentare, o prolungare, il piacere infliggo a me stesso, o all’altro, delle costrizioni o delle punizioni

    Avere atteggiamenti sostanzialmente sadomasochistici non è tipico della sfera sessuale. Alcune culture organizzative sono basate proprio sulla capacità stoica di sostenere sforzi eccessivi, nell’attesa di un riconoscimento successivo. Per non parlare delle privazioni previste da certe pratiche religiose, che molti attuano ciclicamente. Nessuno si sogna di definire patologiche tali rinunce. Chiaramente deve esserci una misura, un limite, che può essere quello di quanto, concretamente, si consideri piacevole la privazione, la punizione o l’umiliazione, (nel caso delle pratiche BDSM). Ossia il limite non può essere superato, se la rinuncia diventa un supplizio. Oppure, più propriamente, dovremmo capire quanto essa ci faccia sentire  riconosciuti, quanto ci restituisca un clima confortevole. Perché se un individuo si sente a suo agio quando vilipeso, più di quando non lo è, al punto da aver bisogno di provare dolore, per arrivare a provare piacere, allora le cose cambiano. 

    Il piacere di essere sottomessi

    Un altro punto su cui indagare: la cultura della libertà. Con estrema difficoltà riusciamo a rintracciare tratti comuni del nostro vivere con quello di nostri simili, e infatti, notoriamente, amiamo dividerci su tutto. Tra cittadini italiani, ma anche tra cittadini europei, e così ’ via, non c’è argomento su cui non litighiamo anche ferocemente. La libertà e la democrazia, invece, restano il comune denominatore sotto il quale non siamo disposti a scendere, attaccati come siamo al privilegio di esprimere sempre qualunque nostra posizione, anche la meno sensata, anche la meno richiesta dagli altri.  

    La difesa della libertà, ha condotto, in quest’ultimo periodo, persino alla rivolta del politicamente corretto. Sono state messe al bando espressioni e locuzioni popolari o familiari, perché ritenute irrispettose della dignità e del decoro di individui o della loro professione. Dalle posizioni sessiste al vituperato patriarcato, dalle minoranze linguistiche allo schiavismo, tutto è stato messo in revisione. Luca Ricolfi ci informa che negli Stati Uniti d’America è stata persino modificata la denominazione del cavo per amplificatori musicali jack maschio e jack femmina, perché irrispettosa, e sostituita con la versione più neutra plug e socket. 

    Tutta questa fame per la libertà si stoppa, improvvisamente, davanti al BDSM e alle sue sfumature di grigio. Nel privato qualcuno diventa improvvisamente illiberale, al punto da sottomettere o essere sottomesso. Da dove arriva questa svolta schiavista, quale piacere, concretamente, può fornire? Oppure di nuovo, è un fatto di riconoscimento, di sentirsi accettati, se non altro in quella situazione di sottomissione? 

    Un altro controsenso: il contratto

    Sappiamo di come le pratiche BDSM avvengano, sovente, sotto la copertura di un contratto. Da un lato, evidentemente, il contratto fornisce una difesa in caso di svolta tragica delle torture, anche se ci sarebbe da capire, all’atto pratico, quanto concreta in un’aula di tribunale. Dall’altro lato, cosa secondo me più rilevante, con il contratto si cerca un consenso

    Se sto facendo qualcosa di previsto, concordato, moralmente accettabile, a cosa mi serve un accordo? Sappiamo che i debiti di gioco sono sostanzialmente debiti d’onore, e quindi un patto fatto per gioco, ha un potere vincolante maggiore a quello della parola data? La presenza di un contratto, nelle pratiche BDSM, quindi, è l’aspetto più sinistro, quello che svela qualcosa di più sulle logiche profonde che legano i membri della coppia

    Sottomettere qualcuno, specie se considerato piacevole, dovrebbe essere secondo la propria coscienza. Essere vilipesi, umiliati, o percossi, se piacevole, dovrebbe essere secondo coscienza. Se, al contrario, sto facendo qualcosa di sbagliato, al punto da avere bisogno di un consenso esplicito, forse c’è qualcosa che non va.   

    La coppia BDSM

    Siamo pronti, quindi, a definire la coppia BDSM, che non è semplicemente quella che saltuariamente, per gioco, fa uso di queste condotte: nella coppia BDSM la modalità relazionale tipo è sadomasochista, e le pratiche di dominazione violenta o umiliante non si limitano alla sfera intima. Al contrario, sono la struttura su cui si fonda l’impianto relazionale della coppia, e che, evidentemente, corrisponde ad alcuni principi cardine della psiche individuale dei due partner. 

    Il sadomasochismo della coppia BDSM, inoltre, ha talvolta un funzionamento talmente patologico da dover essere giustificato, scusato, da un contratto: la cosa che in assoluto più allontana la dinamica di una coppia basata sull’amore e il rispetto reciproco, da una basata sulla perversione.  

  • Hermione Granger: la Natasha Rostov del nostro tempo

    Hermione Granger: la Natasha Rostov del nostro tempo

    Raramente un personaggio letterario entra nelle fantasie del pubblico così in profondità, da rappresentare archetipi di cultura collettiva. Uno di questi è senza dubbio Hermione Granger, la protagonista femminile della saga di Harry Potter, che il lettore certamente conoscerà, senza il bisogno di altre presentazioni.

    Dico raramente perché la letteratura è piena di eroi, anche molto ben riusciti, ma che in genere non escono dai libri, per entrare nel nostro inconscio collettivo. È questo il caso, invece, di Rossella O’Hara di Via col vento, per esempio, che nella battuta finale del film incarna tutta la speranza che riponiamo nel domani. O di Perpetua dei Promessi sposi, talmente caratteristica da dare il nome a tutte le donne a servizio dai sacerdoti. Oppure di Natasha Rostov, che oltre ad essere la (co)protagonista di Guerra e Pace, riesce a rappresentare il prototipo della donna ottocentesca (e non solo). E poi c’è lei, Hermione Granger, non a caso l’unico personaggio di fantasia che mi viene da associare a questi esempi immortali. 

    Abbiamo già detto di come alcuni personaggi della letteratura (del cinema, della tv, ecc…) abbiano un potere speciale: esistono pur senza essere mai esistiti. E questo perché hanno vissuto dentro di noi. Alcune persone depresse sono disperate, morte dentro, proprio perché sentono di non esistere nella mente di nessuno. È vivere nella mente di qualcuno, dunque, che discrimina tra essere o non essere. E alcuni eroi della fantasia sono molto più di individui reali, proprio perché vivi nella mente del pubblico. 

    Hermione Granger arriva nella vita di Harry Potter, e del suo amico Ron Weasley, in maniera rocambolesca. Ha l’antipatia tipica della ragazzina del primo banco, la più brava, quella che mai confesseresti di amare. E infatti, forse, l’amiamo da subito, anche da quando ci sta ancora visceralmente antipatica. È così perché sentiamo che ci assomiglia, ha la stessa foga di quando siamo in difficoltà. E quando dobbiamo mostrare di sapere, dobbiamo dimostrare il nostro valore. E questo per il femminile, nel mondo della scuola, ma non solo, è tutt’altro che affare da poco. Draco Malfoy, invece, (gli dedicheremo un altro spazio) non deve dimostrare niente a nessuno, è pieno di sé, e per questo ne abbiamo una repulsione strutturata. 

    Hermione ci cattura. La sorte (ma sarebbe comunque questione di tempo) consente di mostrare ai tre i veri volti reciproci, l’amicizia tra loro matura, e la ragazza si mostra per qualcosa di diverso. È l’intelligenza a farla saggia, non la paura. È la sua natura Babbana a farla rispettosa della legge, non il falso moralismo. Ecco che qui Hermione esce dalla finzione letteraria, per entrare nella storia di ciascuno di noi, forse ancora di più del protagonista, la cui vita pre Hogwarts ha un che di paradossale. 

    In Hermione non c’è niente di paradossale, c’è soltanto la tenacia di tutti quelli che non si rivedono in Malfoy. E infatti (già segretamente innamorati), segretamente cominciamo a fare il tifo per lei, a sperare in lei, quando c’è da salvare il nostro eroe, a sognare il suo ritorno quando si caccia nei guai. 

    Perché in fondo lo sappiamo: nel nostro mondo la magia non c’è, e quando non è possibile risolvere le cose con un colpo di bacchetta magica, se almeno avessimo lei, accanto, tutto ci apparirebbe enormemente più facile. E non è poco, per un’eroina fantastica. Hermione Granger è una novella Natasha Rostov, potremmo dire. Nella certezza che nessuno se ne prenderà a male.  

  • La gelosia patologica

    La gelosia patologica

    Avete mai visto un musicista geloso del suo strumento? E un botanico delle sue piante, o uno scrittore difendere le bozze del suo prossimo libro? Entro certi limiti, come tutte le manifestazioni dell’animo umano, anche la gelosia è un fatto fisiologico. Anzi persino positivo, perché ci parla di affezione, attaccamento, amore. 

    Il tango della gelosia

    Proprio questo attaccamento, però, può essere una lama a doppio taglio. Il nostro naturale istinto (ben educato dal modello sociale del capitalismo), ci porta a controllare le manovre che gli altri compiono intorno alle nostre proprietà. È un fatto istintivo: temiamo che ciò che è nostro possa finire in mano altrui. D’altro canto, sentiamo anche un piacere intimo quando agli altri piace qualcosa che ci appartiene, anche se talvolta non vorremmo ammetterlo. Il complimento per la nostra bella auto, per quanto vecchia, fa certamente piacere, così come l’apprezzamento per una foto scattata anni fa, un canzone scritta in gioventù, o un progetto realizzato contro il parere di molti. 

    Lo stesso vale, inevitabilmente, per le relazioni amicali o affettive, anche se, evidentemente, e qui dovremmo aprire una parentesi troppo grande da poter essere chiusa, una persona non ci appartiene come uno strumento musicale, un’automobile, o un progetto artistico. Quello che ci appartiene di una persona è la relazione che abbiamo con lei. È di quella che siamo gelosi, perché ci entra in profondità, e determina, in qualche modo, ciò che noi siamo ai suoi occhi. 

    Mio fratello, mia moglie, la mia psicoanalista: in questi casi il possessivo non si riferisce alla persona, ma al legame, ed è un legame di cui siamo gelosi, perché rappresenta qualcosa di piuttosto esclusivo nella nostra vita. Di fratelli, al massimo se ne possono avere alcuni, di mogli si potrebbe arrivare a tre o quattro, di psicoanalisti, se tutto va bene, nella vita ne avremo uno soltanto. 

    Relazione e attaccamento

    Ecco quindi che cominciamo a legare la gelosia con la relazione, ossia con ciò che noi siamo, o rappresentiamo, per l’altra persona. Il musicista geloso del suo strumento, per tornare all’esempio iniziale, ad un certo punto sposterà la gelosia sulla competenza, ossia su quello che succede tra lui e lo strumento (che forse non possiamo chiamare relazione.) E penserà che, per quanto altri possano avvicinarsi a suo oggetto, quelle determinate note, con quella certa intensità, potrà produrle soltanto lui. 

    Le relazioni affettive, invece, sono determinate dal modello di attaccamento a cui facciamo riferimento. Se siamo stati abituati a sentire fedeltà da parte degli altri significativi, ci aspetteremmo, per natura, fedeltà. Se abbiamo una storia di abbandoni, perdite, di sofferenze legate a figure che ci hanno lasciati per altri, saremmo orientati alla diffidenza, alla paura di essere nuovamente abbandonati, e di conseguenza alla gelosia morbosa, patologica. 

    La gelosia, come altre manifestazioni dell’animo umano, è un fatto fisiologico. Ma la gelosia patologica è spesso la traccia di qualcosa di arcaico, di un conto in sospeso con il destino, di una fiducia mal riposta, e che ci ha feriti. Il più delle volte non riguarda la persona verso cui la proviamo, ma qualcosa e qualcuno che viene da più lontano. Anche per questo andrebbe presa seriamente, perché rischia di rovinare tutte le belle relazioni cha abbiamo costruito. E portandoci a confermare, di conseguenza, le diffidenze di cui siamo vittime. 

  • Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone: cosa fare per non finirci.

    Friend zone, o (friendzone), zona dell’amico, è la situazione in cui, in una coppia di amici, uno dei due è segretamente innamorato dell’altro, o comunque fortemente attratto, ma non può esprimere i priori sentimenti, perché sente di essere visto, per l’appunto, “soltanto” come un amico. 

    Friendzonare qualcuno, quindi, significa inserirlo in quella lista di persone che non ci sentiamo di definire in altro modo che come dei buoni amici. 

    Errata comunicazione

    Nel film Yesterday di Danny Boyle (2019), Jack Malik è un cantautore di scarsa fortuna, che suona nei pub e ai festival di terza categoria, che si tengono nella sua città natale. Nessuno crede in lui come artista, per lo meno fino a quando non trova il modo di riproporre i classici dei Beatles, che nel frattempo il resto del mondo ha dimenticato. Nessuno, dicevo, crede in Jack, tranne la sua manager, autista, amica e confidente Ellie Appleton. Alla festa di addio, con amici e parenti, prima della partenza di Jack per Hollywood, Danny Boyle piazza una scena cruciale: Ellie, in lacrime, confessa di essere da sempre innamorata di Jack, e gli chiede come sia stato possibile che l’abbia inserita nella “colonna sbagliata”, ossia nella colonna “amica”, anziché nella colonna “fidanzata”. Jack trasecola, e scopre di avere friendzonato Ellie, ma il guaio peggiore è che non si è mai accorto di averlo fatto.

    Osservando la coppia di questi due ragazzi, possiamo chiederci se la relazione che culmina con la friend zone non abbia delle caratteristiche tipiche, ricorrenti, che possono essere osservate in anticipo.  

    Anzitutto direi di distinguere la friend zone in due macro categorie: quella in cui si viene friendzonati, e quella in cui, invece, si finisce per friendzonare qualcun altro.  

    Ora, dobbiamo ammettere che la prima motivazione in assoluto per cui si viene visti come semplici amici sia lo scarso interesse. Se non suscitiamo attrazione, se l’altra persona non si sente attratta da noi, sarà molto più facile che ci veda come amico, e difficilmente riusciremo a conquistarla. 

    Una seconda motivazione per cui si finisce in una friend zone, però, riguarda la comunicazione. Se nella vita affettiva ci capita questo spiacevole imprevisto, e soprattutto se ci capita più di una volta, dovremmo chiederci: quale messaggio stiamo inviando? L’errore di comunicazione è più diffuso di quanto si creda, ed è sovente collegato all’insicurezza, o alla paura di essere respinti. In questi casi, talvolta, si tende a mantenere un profilo più basso e distaccato di quanto si vorrebbe, per paura che l’altro capisca il nostro interesse e ci allontani. Il caso di Ellie e Jack, nel film Yesterday, può rientrare in questa seconda casistica. E infatti il ragazzo si innamora immediatamente della sua ex manager, non appena scopre i veri sentimenti di lei. 

    L’assioma di Miss Liceo

    L’altra grande categoria è quella in cui si mette qualcuno nella friend zone, salvo poi pentirsene amaramente. Potremmo definire questa sventurata eventualità come l’assioma di Miss Liceo. Sappiamo tutti che l’alunna, o l’alunno, più in vista della scuola, raramente si fidanza con il compagno di banco, il ragazzino affidabile e premuroso, sempre gentile, disponibile ad aiutare nei compiti. Questa situazione, che certamente può essere indotta da opportunismo, non raramente nasconde, invece, qualcosa di più profondo. Miss Liceo (Mr Liceo) ha un potere enorme su tutti i compagni della scuola. È popolare, fa tendenza, ma soprattutto non ha veri nemici, nessuno contraddice le sue mosse. 

    Immaginiamo Miss Liceo innamorata del compagno di banco: cosa resterebbe della sua popolarità? Dovendo scegliere tra il potere e l’amore, sarebbe indotta a friendzonare l’amico? L’assioma di Miss Liceo, che per la verità si ripete anche in ufficio, in palestra, in spiaggia, e via dicendo, ci suggerisce una riflessione molto importante su noi stessi. Quando siamo noi a friendzonare qualcuno, potremmo chiederci: per quale motivo questa ragazza/ragazzo, non ci piace abbastanza? Siamo davvero sicuri che non sarebbe un successo accettare le sue avance? E ancora, ma qui ci vuole davvero tanta elasticità mentale: quale tipo di immagine interiore di noi stessi metterebbe in crisi, allacciare una relazione con questa persona? 

  • Liguria: vademecum per foresti

    Liguria: vademecum per foresti

    Riconosci un foresto in Liguria da come si muove, perché pare un babbano a Hogwarts. “Dove sono capitato?” sembra chiedersi ad ogni angolo. Lo vedi che si sforza di mostrare disinvoltura, ma è profondamente a disagio. “Sono tutti matti, o mi sfugge qualcosa?”. Il foresto (forestiero, in dialetto ligure) arriva in Liguria con delle aspettative irrealistiche, che logicamente finiranno illuse. L’aspetto paradossale di questo suo atteggiamento, è che raramente farebbe gli stessi errori visitando, poniamo, Venezia, Otranto o Erice. Il turista milanese, o torinese, ad esempio, in patria è abituato a parcheggiare lontano dallo stadio, dall’università o dal ristorante. Anzi, ha imparato a usare la mobilità dolce, i mezzi pubblici, persino a muoversi a piedi. Quando arriva in Liguria, invece, dà in escandescenze perché non trova parcheggio davanti alla spiaggia. O per altre cose di questo tipo. 

    Ho pensato, così, a questo piccolo vademecum per foresti: per dire che anche in Liguria è necessario entrare in punta di piedi, con garbo e meraviglia. E non perché sia casa di altri, cosa che già basterebbe, ma perché è un territorio profondamente diverso da quello da cui proveniamo.

    In Liguria non c’è solo il mare

    La prima cosa ostica da imparare, per il foresto, è che in Liguria non c’è solo il mare. Chi arriva dalla città, sia chiaro, sogna la spiaggia. Ma soffermarsi sul mare, in Liguria, è come salire su una Ferrari e fissare il volante. Prendiamo un babbano che arrivasse a Hogwarts. Appena giunto vedrebbe anzitutto il castello, imponente e misterioso, e un sacco di gente strana aggirarsi nei suoi paraggi. Ma se non sapesse nulla del Mondo Magico, del Lago Nero, o non avesse mai sentito nominare Harry Potter, ne avrebbe certamente un’esperienza parziale, vuota, se non del tutto deludente. Allo stesso modo, vivere la Liguria non è unicamente frequentare le sue spiagge: il rapporto con il mare è solo una parte della cultura ligure. Direi di più, è una parte dell’identità profonda dei suoi abitanti. Che infatti continuiamo a non capire, se confondiamo per il tutto, cioè che è solamente uno dei loro confini. 

    Il cosiddetto entroterra è ricco di sorprese di ogni tipo, soprattutto dal punto di vista culturale, artistico ed enogastronomico. Dalle grotte carsiche ai musei paleontologici, dai campi da golf a borghi infestati dalle streghe, per non dire dell’antica cultura dell’ulivo e dell’olio. Tutti questi sono aspetti che determinano la personalità, l’identità della Liguria, e di conseguenza anche dei suoi abitanti. 

    E poi c’è la grande storia delle invasioni saracene, su cui torneremo fra poco. Ignorare questa pagina drammatica della storia, è il peggior delitto che possa compiere il foresto verso questa regione.  

    I liguri detestano il caos

    Il foresto milanese, o torinese, è per sua natura abituato a muoversi nel traffico, nella ressa, nel caos. Noi viviamo in circoscrizioni di 150 mila abitanti: ci spintoniamo per entrare in metropolitana, arriviamo alle mani per un parcheggio, facciamo la fila alla domenica per entrare in pasticceria. Tutto questo è sconosciuto a chi vive in miti cittadine di tre/quattromila abitanti. In alcuni paesi di Liguria ci si conosce tutti, per le strade non c’è mai nessuno, e quando vedi un’auto bianca laggiù, svoltare in una certa direzione, hai già capito che si tratta di Tizio che va a trovare Caio. 

    Non è corretto dire che i liguri non siano accoglienti: piuttosto, detestano il caos. Immaginate la vostra città gonfiarsi di dieci volte (queste le proporzioni del turismo secondo le autorità) per due mesi all’anno: diciamo una Milano con trenta milioni di persone. La Liguria viene invasa in un periodo in cui fa caldo, e a tutti darebbe fastidio avere addosso gente sconosciuta, per giunta piena di pretese. 

    Una di queste pretese, direi incredibile, è quella del parcheggio. Perché anche questa è una bella discrasia psicologica. Il turista pretende di arrivare in una città di poche migliaia di anime, e trovare parcheggi multipiano in riva al mare, adibiti per migliaia di automobili. E non solo una volta la giorno. Al mattino, per andare in spiaggia. Al pomeriggio, per l’aperitivo. E anche alla sera, per il gelato sul dondolo vista mare, come se anche tutti gli altri non avessero lo stesso desiderio. 

    Per tornare all’esempio di Hogwarts, pensiamo al babbano, che abituato allo stadio si trovi, suo malgrado, ad una partita di Quiddich. Nel comprendere le situazioni, la cornice mentale è estremamente importante. Se qualcosa avviene in una cornice diversa dalla nostra, stentiamo a comprenderla. Come il babbano non ci capirebbe niente, non ci si raccapezzerebbe, allo stesso modo il foresto in Liguria stenta a comprendere il rapporto con gli spazi, che per lui è molto diverso.   

    Inoltre c’è un aspetto culturale profondo, che nessuno tiene in debito conto. Alcuni borghi di Liguria sono stati vittime, nella storia, di svariate invasioni da parte dei corsari turchi e saraceni. Arrivavano di notte dal mare, mettevano a ferro e fuoco la città, rapivano gli uomini valorosi e le ragazze più giovani. Qualcuno può immaginare il terrore in cui vivevano le popolazioni colpite da simili episodi? I racconti, le leggende, che questi eventi hanno originato? I rapporti difficili con Genova, che avrebbe dovuto difenderli e non l’ha fatto, e tutta la coda di odio che possiamo soltanto supporre. Avere nella propria storia traumi di questo tipo, deve rendere piuttosto sensibili alle invasioni, per quanto benevole possano essere. 

    I paguri non sono d’allevamento

    Generazioni di bambini foresti sono cresciute con la pesca sportiva nelle acque liguri. 

    Orate, cernie, scorfani, ma anche granchi, polpi, stelle di mare, e, naturalmente, paguri. Ora, avete mai visto un babbano a Hogwarts staccare un ritratto parlante per portarselo a casa? Ecco, la sensazione è un po’ la stessa. I quadri parlanti della saga Harry Potter non sono appesi ai muri della scuola per compiacere i visitatori, ma hanno una precisa ragione. Inoltre, nessuno ha mai lontanamente pensato di potarseli via. Allo stesso modo, la fauna marina della Liguria non è d’allevamento, non serve per aiutare il turista a fare colpo sulle ragazze. 

    La pesca sportiva non è proibita, sia chiaro, l’hanno praticata un po’ tutti. Ma anche questo elemento del turismo andrebbe modulato ai volumi di afflusso. Perché la pesca massiva può portare a sbilanciamenti nelle popolazioni ittiche. Oggi siamo più consapevoli in tutte le cose che facciamo, dai trasporti all’alimentazione, dall’uso delle plastiche al consumo dell’acqua. Così anche il turismo può diventare più “responsabile”, basta provare a riflettere su comportamenti che un tempo non avevano nessuna ragione di essere messi in dubbio.  

    Ecco, questo può essere un breve vademecum per affrontare la Liguria in maniera più ragionevole. E uscire da quella goffaggine tipica che prende il babbano, quando scende dall’omonimo Espresso, e raggiunge il grande castello di Hogwarts. 

  • ¿Es la eyaculación precoz un problema? Esto es lo que puedes hacer.

    ¿Es la eyaculación precoz un problema? Esto es lo que puedes hacer.

    Aproximadamente uno de cada tres hombres ha incurrido, al menos una vez en su vida, en este desagradable inconveniente. La eyaculación precoz es algo más que un simple trastorno, porque toca el corazón de quienes la padecen, degrada a la pareja y, sobre todo, perjudica a la pareja, que entonces es la verdadera víctima de este problema del que no tiene la culpa. 

    Eres demasiado hermosa 

    Lo primero que haces, cuando tienes un episodio de eyaculación precoz, es buscar excusas. Creo que es ciertamente comprensible desde el punto de vista humano, y también diría que una inevitable y genuina defensa de la propia virilidad. Sería doloroso, de hecho, tener que admitir la responsabilidad, en una situación que ya es tan vergonzosa en sí misma. 

    ….

    La clásica acusación, disfrazada de cumplido, “eres demasiado guapa”, traslada la culpa a la pareja, que se ve ridiculizada dos veces. 

    Algunas de estas parejas, de hecho, reaccionan con ironía, otras escriben inmediatamente a sus amigos, o peor aún, a los posibles amantes, pero otras comienzan a albergar una sensación de insuficiencia, desconfianza, baja autoestima. 

    ¿Qué hacer?

    La eyaculación precoz, cuando no es ocasional, suele ser una cuestión de significado. Todos atribuimos un significado a lo que hacemos, me refiero también a significados implícitos, no del todo claros ni siquiera para nosotros mismos, excepto en su aspecto más general, por no decir superficial. 

    Artículo completo en: www.fabioconvertino.it

  • Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nuovi problemi sessuali: paura del corpo, della competizione e del politicamente scorretto.

    Nella mia pratica quotidiana incontro sempre più frequentemente problemi sessuali, anche di forme diverse rispetto a quelle, per così dire, tradizionali. Disfunzioni erettili occasionali o episodi di eiaculazione precoce per gli uomini, difficoltà legate all’orgasmo o perdita dell’interesse sessuale per le donne, ecc… . 

    La paura del corpo e il politicamente corretto

    Una delle ragioni di quella che possiamo definire un’involuzione delle dinamiche relazionali, è certamente l’ondata di terrore per il corpo che si è propagata nel post pandemia da Covid-19. Le tecnologie oggi consentono relazioni asettiche, con scambio istantaneo di immagini e video privati, che alla lunga creano una bolla di comfort informatico. Da un lato, questi scambi mettono al riparo da rischi di contagio che inevitabilmente la prossimità umana comporta. Dall’altro, vediamo che il contatto in presenza non è più necessariamente l’inizio di una relazione, ma talvolta il passo successivo a scambi di messaggi, foto o video andati a buon fine. Così avviene che per alcuni il passaggio al corpo, e al corporeo, è una prova dei fatti (declamati,  millantati?) non facile da sostenere.  

    E poi c’è la concomitante esplosione (sacrosanta) del politicamente corretto. Se da un lato, finalmente, tutti si sentono meno autorizzati a fare quelle odiose battute a doppio senso, quelle allusioni viscide, che da sempre mettono in imbarazzo non solo chi ne è il bersaglio, il rovescio della medaglia è un raffreddamento generale della self confidence. I più timidi (di ogni genere) possono sentirsi sotto esame ogni volta che fanno qualche approccio, e più in generale possono percepire su di sé giudizi o aspettative che un tempo non si pensava di avere. 

    Fuga dalla competizione

    Ad un livello più profondo, i nuovi problemi legati alla relazione, e che si manifestano soprattutto nell’attività sessuale, sono associati ad una sempre maggiore difficoltà di entrare in competizione. Vediamo comunemente, ormai, condotte di evitamento attivo della competizione, in ogni ambito della vita del nostro Paese. I politici in crisi di consensi cambiano partito, anziché impegnarsi a recuperare voti con quello a cui sono iscritti. Sportivi professionisti chiedono ai procuratori di cambiare società o campionato, quando sentono di non avere fiducia da parte dell’ambiente, anziché mettersi di impegno per mostrare il loro valore. E via di questo passo. 

    La tendenza a pretendere a priori un certo tipo di riconoscimento, prima ancora di aver dimostrato di meritarlo, è parte di molti atteggiamenti che a vario titolo abbiamo definito egocentrici, egoistici, individualistici, narcisistici ecc… . Ossia atteggiamenti di chi non è disposto a conquistare qualcosa, perché ritiene gli sia dovuta. 

    Se nella coppia in una crisi questo può portare, nei casi più gravi, a scontri violenti, nella coppia in divenire può definire difficoltà sul piano sessuale. Perché devo impegnarmi a fare qualcosa che mi è dovuta? Perché devo raggiungere, conquistare, sedurre? L’intimità necessita di un certo impegno, ma probabilmente non tutti lo sanno. Anche di questo si parla sempre troppo poco, e, malauguratamente, anche sempre troppo a vanvera.