Autore: Fabio Convertino

  • L’abbandono e le sue implicazioni

    L’abbandono e le sue implicazioni

    Quando l’abbandono descrive la ripetizione di un trauma passato è certamente più doloroso e difficile da superare. Quelle che chiamiamo le separazioni premature, o perdite precoci (early losses) scavano nell’individuo una solitudine carica di ansie, angosce e sensi di colpa.

    All’inizio, come diceva Freud, un bambino sceglie una figura di riferimento e la investe di energie vitali, per orientarsi nella crescita e identificarsi in un modello vincente. Quando la perdita riguarda questa figura fondamentale il bambino si trova davanti al baratro dell’ignoto. A questi bambini può servire molto tempo per definire la propria identità senza una figura simile, ma la cosa peggiore è che quando nella loro vita vivranno un altro abbandono (non fatevi illusioni, ci passiamo tutti) la ripetizione potrà scatenare i fantasmi di un tempo. O se preferite la metafora neurologica, l’attivazione di quelle aree sottocorticali potrà fare emergere le stesse sensazioni della separazione originaria.

    Una seconda implicazione è quella della teoria su di sé. Quando l’abbandono viene letto attraverso la lente della colpa, ovvero ‘Sono stato abbandonato perché non sono abbastanza buono, ho fatto qualcosa di sbagliato’ o simili, la ripetizione dell’abbandono riattualizza la teoria su di sé. Una teoria su di sé è talvolta una narrazione interna silente e preconsapevole, un insieme di sensazioni non del tutto esplicitate che conducono però a conclusioni rigide e definitive del tipo ‘Se anche questa volta sono stato abbandonato, allora è proprio vero che non valgo, non sono degno di amore’ e simili. Questo tipo di narrazione interna basata sulla colpa può condurre l’individuo a percorrere strade diverse: da quelle riparatorie, (ad es. volontariato) a quelle che mirano a colmare o spegnere il vuoto (shopping compulsivo, dipendenze, e simili).

    Ripetizione della perdita precoce e riattivazione di una certa teoria su di sé sono pertanto due delle principali implicazioni dell’abbandono.

    Ce ne sono altre, ma le metterò a fuoco in un secondo momento.

  • Trauma

    Tutti abbiamo nel nostro passato un evento che definiamo come una ‘ferita’ o una ‘rottura’. Tuttavia non tutti abbiamo superato questa ‘rottura’ allo stesso modo. Molti l’hanno superata globalmente bene, ne portano un ricordo doloroso, ma malinconico, come se fosse una parte comunque cara della loro storia. Vi è invece chi è stato sconvolto da questo evento, e non lo ha mai veramente metabolizzato. La sua vita da quel momento ha preso una direzione diversa, imprevista prima, direzione che lo ha portato lontanissimo da dov’era inizialmente. E poi c’è anche chi non è mai riuscito a ripartire, ed è rimasto schiavo dei condizionamenti che quell’evento ha generato.

    La storia del trauma e di ciò che è stato traumatico è per larghi tratti la storia stessa della psicoanalisi. E a ben guardare per larghi tratti è anche la storia stessa della cultura di cui facciamo parte. La storia dell’umanità avanza per eventi traumatici, e anche nella storia dell’umanità vediamo culture che superano i traumi senza problemi, altre culture che pur se con difficoltà si adattano ai cambiamenti introdotti da un trauma, e altre culture ancora che invece si perdono irrimediabilmente proprio a causa della rottura che per l’appunto il trauma ha causato. 

    Non è facile definire che cosa sia traumatico e cosa no, o almeno non in termini assoluti. Come è stato ben definito da qualcuno, per esempio, l’11 settembre come evento collettivo è stato globalmente meno traumatico di alcuni eventi individuali. L’11 settembre è stato metabolizzato a livello collettivo con un serie di cambiamenti di abitudini in tutto il mondo, pensiamo alle regole sui voli, con nuovi progetti per lo skyline della città e non da ultimo con una serie di azioni militari che per alcuni sono state persino superiori rispetto all’offesa ricevuta. E per non citare quel senso di vilipendio collettivo che in occidente tutti hanno sentito come proprio, anche chi a New York non ha mai vissuto, e mai ci vivrà. In altri casi invece non siamo così fortunati. Ci sono eventi che per pudore, per vergogna, o semplicemente per disinteresse da parte degli altri, restano per lo più segreti, così come i loro connotati emotivi, che nessuno mai accoglierà. Può avvenire che questi eventi portino a cascata delle ricadute nel nostro comportamento, come ad esempio diventiamo pian piano diffidenti verso gli altri, o veniamo colpiti da attacchi di malinconia, o da un senso di disagio nelle relazioni affettive. In questi casi il trauma diventa ‘insuperabile’.

    Poi c’è il trauma cumulativo. E’ una definizione che amo particolarmente, perché rende conto di tutte quelle situazioni che di per sé non sono traumatiche, ma lo diventano in quanto condizioni esistenziali. Subire per qualche volta le angherie di una persona insoddisfatta non è traumatico, soprattutto se sappiamo avere pazienza, ma vivere per anni con un congiunto che si sente un fallito e scarica su di noi la sua rabbia, magari castrando ogni ambizione che esprimiamo, beh questo può diventare traumatico.

    Tenere d’occhio un fratellino per un pomeriggio non è traumatico, anzi può favorire la crescita sana e il senso di responsabilità, ma avere sulle spalle l’impegno di controllare un fratellino che ha un problema di salute e deve essere monitorato costantemente, può creare ansia e difficoltà a lasciarsi andare, insomma a suo modo può essere traumatico.

    Le modalità con cui abbiamo reagito a eventi traumatici passati condizionano sovente anche il nostro presente, e ad esserne pienamente consapevoli non è mai troppo tardi.