Categoria: Genitori

  • Perché la bella della classe non sceglie mai il compagno di banco?

    Perché la bella della classe non sceglie mai il compagno di banco?

    Alcune coppie nascono sulla base di condizionamenti esterni. La bella della classe, per esempio, non guarda mai al suo vicino di banco, che la ama segretamente, ma punta istintivamente al bello dell’altra classe, desiderato da tutte le ragazze della scuola. Le implicazioni di questa tendenza sono fortissime: viene stilata una gerarchia basata sul potere della seduzione, ossia sulla competizione sessuale. 

    La coppia male assortita e le affinità elettive

    Darwin sarebbe soddisfatto, non c’è dubbio, ma una coppia che nasce sull’esigenza di un riconoscimento esterno, è una coppia male assortita. Per natura avrà vita incerta, travagliata, solitamente breve, e amo distinguerla da un altro tipo di coppia, quella che Goethe definiva delle affinità elettive. Il più delle volte il vicino di banco è proprio il ragazzo di cui la bella della classe si fida di più: è bravo a scuola, è rispettoso, e sa dare buoni consigli. È l’amico perfetto, tanto che, molti anni dopo, è ancora tra i contatti sui social network. Quindi, se il ragazzo appariscente è sparito dagli orizzonti, mentre il vicino di banco, in quegli orizzonti, c’è sempre rimasto, verrebbe da chiedersi: per quale motivo la bella della classe non ha scelto il vicino di banco? 

    La questione non è banale, perché un po’ tutti abbiamo fatto una scelta di questo tipo. E c’è di più, è una scelta che, con il passare del tempo, tendiamo a ripetere. Tra gli amici delle vacanze, nei gruppi studio dell’università, e più tardi tra i colleghi di lavoro. C’è sempre una persona di cui istintivamente ci fidiamo, ma con cui mai e poi mai andremmo a cena, e poi c’è la persona con cui andremmo a cena, e non solo, ma che poi perdiamo di vista nel giro di pochi mesi. 

    Quanto è importante sedurre?

    La cocciutaggine con cui inseguiamo una coppia male assortita, e rifiutiamo una coppia che invece potrebbe funzionare, è la cifra della nostra difficoltà di ignorare l’effetto sociale delle nostre scelte, ossia le ricadute che determinano nell’ambiente in cui ci muoviamo. 

    Così ci stiamo avvicinando ad alcuni scomodi interrogativi: preferiamo avere un ruolo sociale di dominio, in cui tutti apprezzano le nostre doti di seduttori, piuttosto che una felice vita di coppia? E se sì, quanto tempo deve passare, prima che decidiamo di prenderne atto? 

  • Generazione Ultimo. Perché la lotta al narcisismo è la nostra guerra civile.

    Generazione Ultimo. Perché la lotta al narcisismo è la nostra guerra civile.

    Fanno discutere le dichiarazioni del cantautore Ultimo, che ha affermato di non avere amici che votino o vadano in chiesa. La cosa non stupisce per nulla, anzi, ad essere precisi, la considerazione può essere estesa anche alle altre generazioni di Italiani, ormai irrimediabilmente risucchiati dal loro egocentrismo. 

    Il vuoto di fede, di passione politica, (e aggiungerei anche di interesse per l’arte), tradisce una tendenza inarrestabile al narcisismo individualista, o individualismo narcisista, fate voi. Ci sentiamo sempre più in credito verso tutto e tutti, a cominciare dallo Stato (“non voto perché di quelli non mi fido più”), per finire alla chiesa e alla religiosità (“dopo quello che mi è successo, in chiesa non ci vado”).

    Tuttavia la sensazione di averne ingoiate troppe, a ben guardare, è un pretesto per chiuderci in noi stessi. Chiediamo allo Stato di fare di più, di darci di più, di organizzare meglio le nostre vite. Ma non avevamo deciso noi, a suo tempo, di avere un Paese laico e liberale? Il mantra del capitalismo liberale è “meno Stato”, possibile che oggi, che il liberalismo taglia servizi, scuola e sanità pubblica, chiediamo, invece, di averne di più? Oppure i servizi essenziali ci sono, ma cerchiamo una scusa per affermare che per noi, che siamo importanti, gli altri dovrebbero fare di più?

    Il rapporto con Dio va più o meno nello stesso modo. Dove origina il vuoto di credibilità, cosa ci aspettiamo che faccia per noi, questo Dio, dove ci ha traditi, al punto che ci siamo offesi? Ovviamente ciascun lettore avrà le proprie ragioni, ma talvolta ho l’impressione che alla base della nostra reazione avversa ci sia un risentimento narcisista, perché “io sono io, e a me certe cose non le si fanno”.

    Tra i lettori, chi sentirebbe, in buona coscienza, di poter dare la propria vita per un ideale? O meglio, per cosa daremmo la nostra vita? La mia esperienza quotidiana, e credo sia sovrapponibile a quella di Ultimo, è che nessuno darebbe la propria vita per difendere diritti che non lo riguardino. Cioè, rischierebbe qualcosa soltanto per difendere i propri privilegi (veri o presunti). 

    Il narcisismo individualista è il vero nemico del nostro tempo. Dobbiamo combattere una battaglia identitaria e culturale, direi persino ideologica, contro il narcisismo. Come se fosse una guerra civile. Il narcisista inquina i rapporti umani, corrode il senso di appartenenza ad una famiglia, ad un gruppo di amici, ad una comunità. Il narcisista è perennemente in credito verso tutti, che dovrebbero fare di più, perché “io valgo”. 

    Ha ragione Ultimo, molti hanno smesso di votare e andare in chiesa. Ma la ragione per cui non lo fanno è talvolta pericolosa, perché muove da una sensazione di lesa maestà. Se individualismo e narcisismo si incontrano, e strutturano un nuovo tipo di soggetto contemporaneo, avremo una collettività di insoddisfatti. Che inoltre denigrano tutto quello che li circonda perché non sufficientemente a loro misura. 

  • “Sono io, quindi ho ragione”. Una risposta ad Aldo Cazzullo.

    “Sono io, quindi ho ragione”. Una risposta ad Aldo Cazzullo.

    Alcuni giorni fa, nella sua rubrica “Lo dico al Corriere”, Aldo Cazzullo rispondeva ad un lettore circa il degrado dei rapporti umani, in un bellissimo articolo intitolato “Sono io, quindi ho ragione.”. Non riassumo l’articolo, perché non possiedo il copyright, ma vorrei commentare con un approfondimento. 

    L’imbarbarimento delle relazioni umane, evidente agli occhi di tutti, dipende dalla frustrazione e dall’impotenza. Da alcuni lustri a questa parte ci sentiamo in declino, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista politico. Percepiamo la nostra voce largamente inascoltata, e anzi molti hanno perso la speranza che mai lo potrà essere. 

    La storia del trauma ci insegna che l’impossibilità di comunicare una condizione di sofferenza, o peggio sentire che essa sia tollerata, se non addirittura giustificata, crea fratture dentro di sé, e risentimenti verso l’altro. Le condizioni psicopatologiche che ne derivano, poi, possono andare dalla grave scissione mentale, a varie forme di aggressività (più o meno passiva) agita in maniera scriteriata. 

    Ora, io credo che nell’analizzare l’imbarbarimento delle relazioni umane, sia necessario anche definire la cornice del quadro entro cui tale imbarbarimento prende corpo, che è, per l’appunto, di progressiva e ineluttabile perdita di potere sul nostro presente, e di fiducia riguardo il nostro futuro. 

    Così, oltre a segnalare con un certo disprezzo e superiorità questa situazione, dovremmo anche cominciare a fare qualcosa prima che diventi endemica. Ossia, prima che si perda la fiducia nella politica, prima che si smetta di cercare lavoro, perché “tanto non c’è”, prima che si prenda a vomitare odio per strada, al lavoro, sui social network, perché davanti c’è soltanto qualcuno che non può difendersi. 

    Rileggendo l’ultima frase penso che forse queste cose stiano già avvenendo. Se è così, allora, è tardi anche solo per lamentarsi. 

  • Torino e il Salone del Libro.

    Torino e il Salone del Libro.

    Eccolo, è arrivato anche quest’anno. Il Salone del Libro è la spunta blu della torinesità, il party da cui passare tutti almeno una volta, l’evento meno attesto, ma proprio per questo, il più partecipato. Nato alla fine degli anni Ottanta, sul crepuscolo della vicenda industriale, il Salone del Libro è, insieme al Torino Film Festival, il vero è proprio “We will meet again” dei tornesi. 

    Ogni volta mi stupisco a vedere tanto contenuto entusiasmo, tanta abnegata adesione, tanto intellettuale understatement. E non è un caso, se, per capirlo, lo devo associare al TFF. Sì, perché la torinesità è sostanza senza fronzoli, è fare l’arrosto senza troppo fumo. Altre città sono più brave col fumo, e senza dubbio ci vuole anche quello, ma sotto la Mole lo consideriamo pacchiano: è un fatto di pudore, di modestia. 

    Leggere un libro, come guardare un film, si fa nel silenzio, tra sé e sé. E poi lascia una scia luminosissima, che anche quella si tiene per sé. Ecco perché andiamo al Salone del Libro, per gli stessi motivi per cui amiamo il TFF, perché leggere ci dà tantissimo, ma possiamo non dirlo a nessuno.

    Così Torino è ripartita, e riparte ogni anno, dal Salone del Libro. Un libro che si apre, del resto, fa più rumore di un cannone che spara. Non mi ricordo, ma forse anche di questo, aveva già detto Mozart. 

  • La coppia infantile.

    La coppia infantile.

    Il percorso di crescita è in genere una corsa verso l’età adulta, una sua anticipazione, talvolta persino uno scimmiottamento. Vi sono individui, invece, che in coppia rifiutano il ruolo di adulti, e giocano a fare i bambini. 

    “Io sono grande”

    Sappiamo tutti di quanto i bambini tengano a sottolineare il loro grado di sviluppo, e quanto vengano rafforzati in questo dagli adulti che si occupano di loro. A scuola, per esempio, amano aiutare dei compagni più piccoli, per senso di responsabilità, oppure a casa assicurano di poter assumere certe iniziative, perché “io sono grande”. 

    Il mondo che li circonda, del resto, tende a premiare questo atteggiamento, per insegnare loro l’autonomia, e renderli consapevoli delle loro azioni.

    Questa dinamica non si perde con la prima infanzia, anzi continua ad essere presente in ogni fase di crescita. L’adolescente e il giovane rincorrono l’adultità come se fosse uno status sociale. I ragazzi sognano di guidare l’auto, di uscire da soli con gli amici, di firmare i libretti scolastici. I giovani adulti sognano cose diverse, ma pur sempre cose “da grandi”: tutti abbiamo sentito la frase: “Oggi compi 18 anni, finalmente potrai…”. Al bambino e al giovane, sovente, la loro condizione sta stretta. 

    Responsabilità

    Vediamo coppie, invece, in cui la situazione si ribalta, e invece di fare gli adulti, i loro componenti giocano a fare i bambini. Anche questo è un caso di coppia sul viale del tramonto, ma in maniera diversa dalle altre. La cosa che sorprende di più non è la difficoltà di prendere atto della crisi, piuttosto la fuga (immaginata) dal ruolo di adulto e dalle responsabilità che esso prevede. E ovviamente tra le responsabilità c’è anche quella di fare parte di un progetto di vita condiviso. 

    Supponiamo per un istante di entrare in una sala operatoria durante un intervento, e di imbatterci in una equipe che si comporta come una classe di bambini. L’anestesista che rincorre l’infermiere, disordine ovunque, e tra urla e schiamazzi il paziente abbandonato in un angolo. E poi supponiamo ancora di entrare in un parlamento e trovare una situazione analoga: aeroplanini di carta, sbadigli, chiacchiere a mezza voce. Che impressione ne avremmo? Penseremmo senza dubbio che le persone che vediamo vorrebbero essere altrove, che non hanno nessuna voglia di fare quello che stanno facendo, e che trovano più divertimento nei comportamenti infantili, che soddisfazione professionale dal loro impegno. 

    Questa è la stessa impressione che si può avere dalle coppie infantili. Quando due persone si divertono di più a fare giochi, sketch, battute infantili, piuttosto che vivere il presente o progettare cose da fare insieme, molto spesso è perché queste ultime non darebbero maggiore soddisfazione, o più semplicemente queste persone vorrebbero essere altrove. 

    Quindi la riflessione si sposta dal fatto stesso che la coppia sia in crisi, al peso della responsabilità di doverlo ammettere. E come abbiamo detto, è proprio la responsabilità una differenza importante tra l’infanzia e l’età adulta.  

  • La frammentazione: sociale, culturale, psichica.

    La frammentazione: sociale, culturale, psichica.

    Ne ho parlato a DF Talk, Associazione Difendiamo il Futuro, con Benedetto Bonfatti.

    https://fb.watch/rDUlXMOp5b/

  • Il Ghosting. Tra narcisismo e paura della relazione

    Il Ghosting. Tra narcisismo e paura della relazione

    Insieme ad Angela Critelli e Sonia Sabato (^) ho tenuto una conferenza dal titolo “Il Ghosting: tra narcisismo e paura della relazione”. Riporto di seguito i principali argomenti toccati, nella consapevolezza che il tema meriterebbe ben più che un incontro per essere affrontato nella sua interezza.

    Il Ghosting 

    Partiamo anzitutto da una definizione. Il ghosting è il comportamento di chi decide di interrompere bruscamente una relazione sentimentale e di scomparire dalla vita del partner, rendendosi irreperibile. Inseriamo questo argomento tra le attività didattiche riguardanti l’educazione affettiva, poiché rappresenta, a tutti gli effetti, una nuova forma di violenza psicologica

    Altri comportamenti simili, come non rispondere a messaggi, chiamate o email, o disattivare le notifiche di consegna, non rientrano nella definizione stretta di ghosting, ma configurano lo stesso tipo di atteggiamento narcisistico e passivamente aggressivo. Per questo le considerazioni che seguono valgono per tutte le forme di violenza legate alle comunicazioni digitali, non soltanto a quelle incluse dalla definizione standard. 

    Il termine ghosting è nato negli anni Novanta del Novecento, con le prime comunicazioni a distanza consentite da internet, ma è diventato di uso comune nel corso degli anni 2000, dopo che un giornalista americano lo ha utilizzato per definire l’atteggiamento di una star di Hollywood, che per rompere la relazione con una partner, aveva preso a “comportarsi come un fantasma”. 

    Ghosting, dunque, è un modo brusco per terminare una relazione senza doverlo dire, e schivando ogni responsabilità. Può essere utilizzato per chiudere qualunque tipo di relazione, ma riguarda per lo più le relazioni affettive, ossia quelle nelle quali può essere più difficile assumersi responsabilità. 

    Narcisismo 

    Il ghosting è legato alle opportunità consentite dalle nuove tecnologie, che si legano alle tendenze della nostra società individualista, ma livello psicologico è sovente associato al narcisismo, il grande comune denominatore di molti atteggiamenti e comportamenti disfunzionali, nelle relazioni contemporanee.

    Il narcisismo è l’atteggiamento di chi fa di sé stesso il centro esclusivo del proprio interesse, nonché oggetto di ammirazione, mentre resta più o meno indifferente agli altri, di cui ignora o disprezza il valore. Il narcisismo è sempre un atteggiamento negativo, soprattutto nelle sue espressioni più radicali e patologiche, ma si può anche affermare che, entro certi limiti, saper ignorare i commenti degli altri, o riconoscersi del valore dopo un successo (sportivo, scolastico, lavorativo) sia una componente vitale di un sé adulto. 

    Empatia

    Se per empatia intendiamo la capacità di mettersi al posto dell’altro, di sentire cosa sente, come se fossimo in lui (lei), il ghosting condivide con il narcisismo proprio la totale mancanza di empatia. Ignorare l’altro è una pratica violenta in quanto ignora l’altra persona, ne svaluta l’importanza nella relazione, che invece dovrebbe essere di reciprocità e di riconoscimento reciproco. 

    Come il narcisista svuota l’altro di valore, e vede soltanto sé stesso, allo stesso modo il ghoster riconosce nella relazione soltanto le proprie esigenze e le proprie bieche motivazioni. Le conseguenze sono plurime e deleterie. Da un lato il ghostato si sente sminuito proprio agli occhi della persona amata, per cui sperava di contare qualcosa,

    ma dall’altro, fenomeno che tra i giovani può avere un impatto persino peggiore, può venire svalutato e deriso nel gruppo di pari. 

    Un percorso di educazione affettiva dovrebbe porre al centro la relazione, termine sempre più desueto nel cyberspazio, in cui per definizione navighiamo da soli. Relazione significa promuovere lo spostamento dello sguardo dal “me” delle mie esigenze, al “noi” di una relazione, che può essere a due, se la relazione è affettiva, ma anche a molti, se la relazione è di gruppo, per esempio in una classe, o in una squadra. E tenendo, infine, presente, che se allarghiamo una relazione a un “noi” di moltissimi, allora parliamo del nostro vivere all’interno di una società.  

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    (^) Angela Critelli, sociologa, e Sonia Sabato, psicologa clinica, hanno presentato con me “Il ghosting, tra narcisismo e paura della relazione”, nell’ambito di un percorso di educazione affettiva, in una scuola superiore di Torino. 

  • Ecoansia. L’angoscia per i cambiamenti climatici, fuori dal nostro controllo.

    Ecoansia. L’angoscia per i cambiamenti climatici, fuori dal nostro controllo.

    Donal Trump affronta il problema del riscaldamento globale con una battuta: “Si alza il livello delle acque? Bene, avremo più case con vista mare!”. L’ottimismo dell’ex (futuro?) presidente Usa, però, non è condiviso da tutti, e infatti sono molti a sviluppare sintomi di ecoansia, “la paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri ambientali” (Treccani).

    Controllo

    Vorrei mettere in evidenza alcuni tra gli aspetti fondativi dell’ecoansia. Il primo è la perdita di controllo per quello che ci capita. Quando a livello individuale sviluppiamo problemi legati all’ansia, in genere essi riguardano la paura di usare l’ascensore, di salire sull’auto di altre persone, prendere un aeroplano (e simili). Ossia situazioni in cui siamo assoggettati agli eventi, e nulla di quello che ci avverrà sarà sotto il nostro controllo. In altre epoche, una forma di paura sociale simile all’ecoansia è stata quella dell’incubo atomico. Anche in quel caso i cittadini erano totalmente dipendenti da scelte altrui, e non c’era nessuna posizione politica, sociale, economica che potesse garantire definitivamente dal quell’incubo. 

    Oggi vediamo una situazione simile, le condizioni meteo peggiorano letteralmente a vista d’occhio, e la percezione di essere in balia degli eventi, e di non poter esercitare nessun tipo di controffensiva volontaria, spiazza e mette in crisi. 

    Fiducia nel futuro 

    Il secondo aspetto che vorrei segnalare, e che spiega perché ho citato Trump, è la paura verso il futuro, la disillusione, la conflittualità globale (ai nostri danni). Gli anni dell’incubo atomico erano anche gli anni della crescita economica, delle conquiste della scienza, delle grandi rivoluzioni culturali. L’ottimismo dilagava in qualunque ambito, le conquiste spaziali da un lato, e i trapianti di organi dall’altro, davano la percezione di un uomo ormai definitivamente padrone della natura. L’esatto opposto di quanto avviene oggi. 

    La frammentazione sociale, economica, politica del mondo, come abbiamo già detto diverse volte, corrisponde ad una inevitabile frammentazione psichica. E la natura, che credevamo doma, si rivela infida, pericolosa, matrigna. Ma la frammentazione sociale non colpisce tutti nello stesso modo, come l’ecoansia. C’è persino qualcuno che può vedere nei cambiamenti climatici un’opportunità. È questione di punti di vista.

    La fine del sacro non riguarda la natura 

    E poi c’è un ulteriore aspetto, la fine del sacro. Inteso come ciò che crediamo inviolabile, insuperabile, la morte del sacro non ha riguardato la natura, e questa per l’uomo contemporaneo è un’onta insostenibile. Il femminicidio ci insegna che persino le relazioni più intime possono essere distrutte, senza vergogna o colpa. Le chiese sono vuote, perché l’uomo ha distrutto l’idea stessa di Dio, non abbastanza adeguata alle sue necessità. La politica, l’arte, tutti i campi dell’idealismo umano sono stati svuotati, piegati, ma non la natura.  

    La natura continua ad essere sempre sopra di noi, sempre incontrollata, e oggi sempre più minacciosa. Ecco un’altra coordinata dell’ecoansia. Abbiamo imparato a dominare, persino a mistificare, tutto ciò che è (o dovrebbe essere) sacro, tranne la natura. E questo basta e avanza, per creare angosce profonde e gravemente insostenibili. 

  • Coppie al capolinea. Come riconoscerle, come uscirne.

    Coppie al capolinea. Come riconoscerle, come uscirne.

    La prima relazione in cui siamo coinvolti, appena dopo la nostra nascita, è all’interno di una coppia. La dimensione duale del rapporto con la madre, (o con chi ne fa le veci) influenza, di conseguenza, ogni rapporto a due che incontriamo nel corso della vita. Ci sono relazioni che ci ricordano quella primaria modalità di accudimento, ce ne sono altre totalmente diverse, e altre ancora che ne condividono soltanto alcuni aspetti. Vivere in coppia è difficile, perché arriva sempre il momento in cui la persona amata non risponde alle nostre aspettative, che derivano da quella esperienza primordiale. 

    Relazioni tossiche

    Ad ogni modo, non tutte le dinamiche che non rispettano le aspettative sono finite, ad alcune, in realtà, ci si può adeguare. Del resto a questo serve l’innamoramento, a trovare la forza di superare le differenze, per preservare qualcosa di più grande. Ci sono invece altre relazioni, che palesemente hanno esaurito la loro carica propulsiva, in cui le differenze diventano ogni giorno più pesanti. In questi casi non serve resistere, nascondersi dietro l’amore che si prova, perché il più delle volte è un amore “tossico”, e queste coppie sono al capolinea. Un esempio di relazione tossica è quella basata sull’asimmetria. Se c’è uno sbilanciamento di potere, come nel caso della violenza di genere, o della dipendenza affettiva o economica, in cui una delle due parti è soggiogata all’altra, l’“amore” che si prova non è sempre genuino, perché “intossicato” dalla necessità. 

    Mind games

    Quando in una coppia la comunicazione è dominata dai “mind games” (ne ho parlato in precedenza) ossia da quelle giravolte verbali che mirano solo a mistificare i fatti, anche questa coppia è al capolinea. I mind games sono attacchi vili che generano insicurezze, mentre un rapporto maturo dovrebbe emancipare, non legare. Una delle motivazioni alla base dei mind games è l’infedeltà. Le coppie infedeli amano mistificare i fatti, per poter continuare a mantenere l’attuale equilibrio. 

    Identità di genere

    Non se ne parla mai, ma è un’occasione di grande sofferenza in coppia. Se uno dei due partner smette di identificarsi nel rapporto di genere in atto, le cose si fanno molto difficili. Diamo per scontato che se un individuo forma una coppia con un altro individuo del genere opposto, l’identità di genere che ne deriva sia stabile o intoccabile. Poiché questo non è vero per tutti, può capitare che l’equilibrio si spezzi, e anche in questi casi la coppia è al capolinea. 

    Se nella vita di coppia sentiamo echeggiare uno o più di questi aspetti, l’asimmetria, i mind games, e l’identità di genere, fermiamoci. Potrebbe andarne del bene dell’altra persona, del futuro che insieme pensiamo di costruire, ma anche del nostro benessere personale.   

  • A cosa serve, oggi, una biblioteca?

    A cosa serve, oggi, una biblioteca?

    Ho recentemente presentato il mio libro Il Kintsugi dell’anima in una prestigiosa biblioteca di Torino. Tra le domande postemi dal pubblico durante la discussione, una è stata particolarmente interessante: quale utilità può avere oggi una biblioteca? I nostri dispositivi elettronici sono in grado di racchiudere in sé, (in memoria, o grazie alle reti) più libri di quanti ne possa esporre una biblioteca comunale. Pertanto non è così strano chiedersi a cosa possa servire, oggi, una struttura fisica adibita a tale scopo?

    Guglielmo e Don Chisciotte 

    Cercherò di rispondere, a questa suggestiva domanda, traendo spunto dalla storia della letteratura. La creatività umana, lo sappiamo bene, è alimentata da fantasie e angosce diffuse tra gli individui. Diverse tra queste riguardano le biblioteche. Ne Il nome della Rosa di Umberto Eco, si racconta di una biblioteca che nasconde un segreto terribile. Il protagonista vorrebbe entrare in questa biblioteca, cedere alla tentazione della conoscenza (già letto in un altro libro?), ma i saggi glielo impediscono. Le vicende si snodano attorno a questo edificio bizzarro e terribile, fino al drammatico epilogo che ne determina la distruzione in un rogo. 

    In questo romanzo le fantasie e le angosce sono molteplici, si intrecciano e accavallano tra loro, ed è proprio la biblioteca a definirne contorni e confini. Anzitutto la conoscenza, di biblica memoria. Conoscere è pericoloso: per non ripetere l’errore di Adamo ed Eva, è bene creare una grande biblioteca, e richiudere lì dentro i segreti della conoscenza. Ma come per Adamo ed Eva, anche per il protagonista del romanzo è impossibile stare lontano: l’uomo è per natura portato a interrogarsi, indagare, cercare risposte. E questo anche a costo della sua stessa incolumità. La conoscenza cambia, per sempre. A volte uccide. E poi c’è il rogo. Nell’antichità un’importante biblioteca andò in fiamme, distruggendo chissà quali capolavori. E sappiamo bene che i regimi autoritari danno alle fiamme i libri. Cosa significa? Quale angoscia si nasconde dietro al rogo di una biblioteca? Come si vede il rapporto tra gli esseri umani e le biblioteche è un rapporto ancestrale, profondo, che chiama in causa le considerazioni più importanti che facciamo, e che vorremmo condividere con tutti, anche quelli che verranno dopo di noi. 

    Nel suo Don Chisciotte della Mancia, Cervantes racconta di un nobiluomo che vive rinchiuso in una biblioteca. Il potere taumaturgico del libro compatta il sé di Don Chisciotte, lo aiuta a costruire un mondo fantastico in cui il bene è al sicuro, in buone mani, e il male non avrà il sopravvento. Don Chisciotte non può uscire dalla biblioteca, pena la sua sanità mentale. E infatti, in un’epoca antecedente ogni studio sulla psichiatria, Cervantes (che scrive dal carcere) mette alla berlina quest’uomo un po’ strano, ci fa sorridere bonariamente, ma oggi possiamo fare ben altre considerazioni. La follia, la paura, il vuoto esistenziale, il libro come antidoto alla morte del sé. Se l’arte esprime fantasie e angosce collettive, cosa significa che la biblioteca sia luogo di salvezza dalla morte psichica? Cosa vuole dirci Cervantes, e cosa sentiamo noi quando lo leggiamo? Perché se non chiudiamo il libro dopo la prima pagina significa che riesce a dirci qualcosa. 

    John Keats

    Torniamo alla domanda iniziale. A cosa serve oggi un edificio adibito a custodia, catalogo e prestito di libri, oggi che grazie all’informatica possiamo avere in tasca tutti i libri che vogliamo? Ebbene, la biblioteca, come ci insegna la letteratura, non è mai soltanto uno spazio fisico. È un luogo per incontrare menti, pensieri, emozioni, anche di persone che non ci sono più. È un luogo per cercare da soli qualche piccola verità, in un mondo che ci serve grandi verità ogni giorno, al punto che non sappiamo più di chi fidarci. Tornano alla mente le parole di John Keats: “Chiamate il mondo la valle del fare anima”. Ecco a cosa può servire oggi una biblioteca, a fare anima. Forse stiamo sconfinando nella psicologia, di nuovo mi sono fatto prendere la mano. Allora fermiamoci qui, di questo parleremo un’altra volta.