I grandi della Nazionale di calcio. Roberto Baggio: Divin Codino.

Roberto Baggio è nato a Caldogno (VC) il 18 febbraio 1967. Relativamente alla sua carriera in Nazionale, oggetto di questo scritto, si potrebbe affermare che sia stato uno dei più grandi, anzi forse proprio il più grande, dei giocatori azzurri. Roberto Baggio merita questa valutazione sia a partire dalla qualità delle giocate espresse in azzurro, sia relativamente ai traguardi raggiunti. Un terzo posto a Italia 90 e un secondo posto a Usa 94, risultati che, a guardare bene, potevano essere ben altri, questione di centimetri. Infatti fu ai rigori che quelle squadre dovettero arrendersi, e quando si perde ai rigore si può ben dire che alla vittoria ci si sia andati davvero molto vicini. 

Temperamento in campo

Il Divin Codino, appellativo valsogli dall’abitudine di tenere i capelli lunghi legati con un elastico, è stato un giocatore più amato dai compagni che dagli allenatori, e, per la sua sportività, molto apprezzato anche dai tifosi avversari. In campo è stato anzitutto un leader nel compito, e ha espresso un temperamento a volte arrendevole di fronte all’aggressività altrui. La sua indole pacifica ne ha fatto un signore, come abbiamo detto, di sportività, ma anche di altruismo. Qualità, quest’ultima, ben riassunta dall’immagine di Italia 90, che lo vide lasciare a Salvatore Schillaci il rigore di Bari, rigore che permise all’attaccante siciliano di confermarsi capocannoniere del torneo. 

Roberto Baggio fece parlare molto di sé, ma soprattutto fece sognare gli appassionati italiani, e per questo ricevette una lunga serie di soprannomi e appellativi: senza dubbio frutto più dell’amore che l’ambiente riversava su di lui, che dell’invidia di pochi detrattori, di cui, si sa, il mondo del calcio è sempre stato pieno. Raffaello, Bagg10, Coniglio Bagnato, ma anche, più dispregiativamente, Filosofo, (infatti era, ed è tutt’ora, Buddista). Nessuno di questi, però, definisce meglio il suo temperamento in campo di Nove e Mezzo, affibbiatogli, con grade perfidia, da Michel Platini.

Nove e Mezzo richiamerebbe qualcosa di non compiuto totalmente, un ruolo a metà strada tra il centrocampista e il centravanti. Anche su questo, però, ci sarebbe da discutere, perché oggi, come in tutte le attività che facciamo, i classici ruoli del Novecento sono saltati, e non esistono più giocatori che si muovono soltanto in una zona del campo, o a cui sia richiesta soltanto una fase di gioco. E forse proprio per questo la storiografia calcistica dovrebbe recuperare la figura di Roberto Baggio, Nove e Mezzo, come un precursore dei tempi, più che come una via di mezzo tra il regista e l’attaccante.  

Nove e mezzo, in ogni caso, determinava oltre alla posizione, anche il suo rapporto con i compagni, con le dinamiche di gioco, e più in generale con quello che qui abbiamo chiamato il temperamento in campo. Perché questo stare un po’ qui e un po’ li, questo andare una volta con il dribbling verso il centro per cercare il tiro, e un’altra verso il fondo per fare il cross, non poteva che avere un impatto determinante, sulla squadra, sui compagni e ovviamente sugli avversari, che non avevano la benché minima idea di come fermarlo.  

Purtroppo ci pensò la fragilità del suo fisico, a fermarlo. In un’epoca in cui gli allenamenti non erano ancora pensati ad personam, e l’intera rosa faceva gli stessi esercizi, con lo stesso numero di ripetizioni. 

L’immagine presso il pubblico

Roberto Baggio è stato, come detto, amatissimo dal pubblico della Nazionale di calcio. Il gol preferito dai tifosi è stato probabilmente quello contro la Cecoslovacchia, a Italia 90, ma gli appassionati conservano del Codino un ricordo che va al di là dei gol e dei premi. 

La serenità con cui scendeva in campo, la correttezza, la dignità con cui ha attraversato i momenti bui della carriera, uniti alla determinazione e alla professionalità, hanno fatto di lui non solo una bandiera della Nazionale, ma anche un campione fuori dal campo. 

Baggio ha cambiato molte volte casacca, per questo non può essere identificato con nessuna delle grandi squadre del nostro campionato. Ma può essere identificato con la Nazionale, per la quale ha pianto e gioito. Se il pubblico ama sognare a occhi aperti, Baggio è l’uomo dei sogni del calcio italiano. 

Nella moderna, e sterile, diatriba tra tecnici, su chi sia (stato) più bravo tra Maradona e Messi, spesso si dimentica di segnalare che Maradona faceva sognare le masse. E non solo perché a quel tempo non c’erano i social media, su cui guardare e riguardare i video, ma proprio perché il suo calcio era allegria, follia geniale, gioia fanciullesca. Ecco, Roberto Baggio è stato, pur con tutt’altro carattere, il nostro Maradona: l’uomo che faceva sognare il pubblico. 

Si può aggiungere un’ultima considerazione. Umberto Eco ha sostenuto, e sono d’accordo con lui, che i romanzi, e i film, più amati sono quelli senza lieto fine. Il lieto fine è banale, scontato, non ha niente a che vedere con la vita reale. Quando l’eroe muore in battaglia, e il pubblico piange per lui, ecco che lì arriva l’effetto catartico dell’arte. Perché è lì che il pubblico sente di non essere solo. Quando l’eroe vive le sventure dell’uomo qualunque, l’uomo qualunque viene riscattato. Io penso che il rigore sbagliato a Pasadena sia l’evento che ha proiettato Baggio nella nostra memora collettiva. L’evento che ha detto agli italiani: se la vostra vita è pesante, c’è qualcuno che porta un peso ancora superiore, e questi è lui, il genio fragile del calcio. La sua sfortuna, da quel pomeriggio, ricalcando la nostra, ci consola un po’. E ci fa sentire meno soli. 

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