Psicosomatica: come gestire i sintomi fisici di natura psichica?

Un disturbo psicosomatico è una riposta fisica ad un disagio psicologico inespresso. 

Entità indivisibili  

Tutti abbiamo reazioni intense in certi momenti della giornata: alcune sono positive, altre negative, e in genere avvengono in concomitanza di eventi significativi. Se durante una discussione accesa sentiamo aumentare la sudorazione, o in presenza della persona amata sentiamo aumentare la frequenza cardiaca, sapremo facilmente rintracciare nel contesto ambientale l’origine di questi messaggi corporei. 

La psicosomatica funziona diversamente: ci presenta il conto di un acquisto sconosciuto. Ci troviamo, così, a dover gestire un determinato sintomo, senza sapere in maniera esplicita a cosa sia dovuto. 

La cultura scientifica dualista di cui facciamo parte, ci ha insegnato a suddividere fenomeni o grandezze indivisibili per poterli studiare. Questo avviene ad esempio nella medicina, in cui i sistemi del corpo umano vengono distinti in muscolo scheletrico, circolatorio, digerente, ecc… per esigenze medico-chirurgiche, ma fanno ovviamente tutti parte di un individuo unico, e sono pertanto legati fra loro. Lo stesso vale per la psiche: essa è indissolubilmente legata al nostro corpo, e pertanto potrebbe imparare, con il tempo, e a certe condizioni, a scaricare il malessere proprio in uno di quei sistemi. 

Esprimere il disagio

In questi anni convulsi, successivi alla pandemia da Covid-19, abbiamo imparato l’importanza di dare un nome ed esprimere il disagio, nonché l’importanza di circondarci di persone, in coppia, o nel gruppo di amici, che sappiano ascoltare, dare un peso, a quello che succede dentro di noi. Lo stesso dobbiamo dire parlando di psicosomatica, dove anzitutto noi stessi dobbiamo saper ascoltare il nostro corpo

Ad alcune forme di turbamento o sofferenza psichica cominciamo, con il tempo a non dare troppa importanza, a nasconderle, se non addirittura ad insabbiarle: da un lato per non perderci tempo, ma dall’altro anche perché, probabilmente, il nostro ambiente affettivo non le prenderebbe troppo sul serio. Nel caso della psicosomatica può avvenire che condizioni stressanti si incastrino in profondità dentro di noi, e non trovino il modo di venire espresse, neppure a noi stessi. In questi casi, però, non scompaiono del tutto, semplicemente vengono relegate ad un livello più profondo, andando ad appesantire alcuni organi al di là della nostra volontà.   

E cosi avviene che molti pazienti, quando chiedo se saprebbero dire in quale punto del corpo localizzerebbero il loro malessere, facciano segno indicando la testa, o le spalle, o il ventre, e così via. Per ogni sintomatologia si può individuare una parte del corpo nella quale la sentiamo nascondersi meglio, più comodamente. 

Affrontare un sintomo psicosomatico significa anzitutto mettersi in comunicazione con il corpo, ascoltare che cosa voglia dirci attraverso quella manifestazione, e perché non ne abbia, invece, espressa un’altra. Il nostro corpo ci parla, se agli altri non interessa, dovrebbe per prima cosa interessare noi stessi.   

Napuli sul tetto del mondo.

Quando i meridionali arrivarono a Torino negli anni Sessanta, per riempire di braccia quelle stesse fabbriche che oggi emigrano a loro volta, erano chiamati Napuli. Il termine, canzonatorio e genericamente riassuntivo, definisce in realtà il disprezzo che i torinesi di allora avevano per tutta quella massa di italiani, così lontani ed estranei, da poterli racchiudere in un unico sottoinsieme: napoletani.

Napuli

I Napuli a Torino hanno lavorato e pagato le tasse, hanno comprato case, automobili, quotidiani, hanno cresciuto figli, e poi hanno fatto proverbiali rimpatriate al sud, ai loro paesi d’origine, per le vacanze estive. Ma quel termine “napoletani” (che a Milano era “terroni”), li ha feriti e vilipesi, ben più di quanto abbiano mai potuto mostrare. Così, quando alla fine degli anni Ottanta, Totò Schillaci venne ingaggiato dalla Juventus, i meridionali di Torino videro in quel ragazzo il figlio che ce l’aveva fatta, il riscatto della nuova generazione su un passato di stenti e discriminazioni. 

I napoletani avevano già in Maradona il loro eroe, va detto, ma i meridionali tutti arsero immediatamente di orgoglio, quando il ragazzo siciliano (cit. Bruno Pizzul) indossò quella casacca, croce e delizia di ogni italiano. Nella sua prima stagione alla Juventus, Schillaci vinse la coppa Uefa, e quando allo stadio Meazza, contro il Milan, alzò anche la coppa Italia, Azeglio Vicini non poté esimersi dal convocarlo in Nazionale. 

Totò, figlio d’Italia

Fu lì che Schillaci scrisse la Storia. Entrando dalla panchina, e per questo senza pestare i piedi a nessuno, Totò, ex Napuli, ora beniamino di tutti gli italiani, salì letteralmente sul tetto del mondo. 

Della parabola discendente non vorrei dire, perché per tutti noi non ci fu mai nessuna parabola. Totò Schillaci resterà sempre l’emblema di quell’estate magica, con quel suo sguardo rapace di chi ha deciso di farcela. Sguardo che è senza dubbio la prima cosa che ci sale alla memoria, quando udiamo quello che fu davvero la colonna sonora di una grande estate italiana.  

E negli occhi tuoi, voglia di vincere, un’estate, un’avventura in più.”  

L’eiaculazione precoce è un problema? Ecco cosa puoi fare.

Circa un uomo su tre è incorso, almeno una volta nella vita, in questo spiacevole inconveniente. L’eiaculazione precoce è qualcosa di più di un semplice disturbo, perché tocca nell’intimo chi ne soffre, avvilisce la coppia, e soprattutto ferisce il/la partner, che poi è la vera vittima di questa problematica di cui non ha colpa.  

Sei troppo bella 

La prima cosa che si fa, quando si presenta un episodio di eiaculazione precoce, è cercare delle scuse. Credo sia certamente comprensibile dal punto di vista umano, e direi anche una inevitabile e genuina difesa della propria virilità. Sarebbe penoso, infatti, dover ammettere delle responsabilità, in una situazione già di per sé così fortemente imbarazzante. 

Ma a volte, come dice il detto, la toppa è peggio del buco. Questo perché cercare delle scuse blinda la posizione di chi invece dovrebbe fare autocritica, e trovare il modo per superare questo impasse. Lo mette al sicuro, gli consente di cadere in piedi dicendo “non è colpa mia”. Inoltre, e questa è davvero la peggiore delle conseguenze, la classica accusa, travestita da complimento, “sei troppo bella”, scarica le colpa sul/la partner, che si vede beffata due volte. 

Alcune/i di questi partner, infatti, reagiscono con ironia, altri scrivendo subito alle amiche, o peggio a potenziali amanti, ma altri ancora iniziano a covare un senso di inadeguatezza, di sfiducia, di bassa autostima.  

Cosa fare?

L’eiaculazione precoce, quando non è occasionale, è sovente un fatto di significati. Tutti attribuiamo un significato a quello che facciamo, intendo anche significati impliciti, non del tutto chiari neppure a noi stessi, se non nel loro aspetto più generale, per non dire superficiale. 

Così frequentiamo un ristorante dimenticando (apparentemente) che in quella via si sono incontrati i nostri genitori, oppure amiamo un profumo che ci lega a qualche ricordo d’infanzia, che però non sappiamo definire con precisione, e così via. 

Quando l’apparato genitale è privo di disturbi organici, la disfunzione è molto probabilmente legata a qualche significato profondo che a tutta prima ignoriamo. 

Al di là dei consigli pratici che si trovano su ogni sito, quindi, diventa importante indagare proprio quel significato: non solo è il vero responsabile del nostro comportamento, ma è la garanzia certificata che si ripeterà nuovamente, anche con un’altra persona. E non importa quale scusa riusciremo a inventare, o quale lusinga a immaginare. 

I grandi della nazionale di calcio: Rino Gattuso.

I campioni dello sport non sono tutti uguali. Alcuni sono amati per le loro gesta, altri per quello che lasciano nel pubblico. Gennaro Gattuso, detto Rino, entrambe le cose, per questo è certamente uno dei più grandi campioni del nostro sport, una vera icona della nazionale italiana di calcio.

Uomo del Sud

Atleta eccezionale, e uomo straordinario, Rino Gattuso incarna almeno due grandi archetipi della cultura popolare italiana. Anzitutto è l’uomo del sud che ha fatto fortuna al nord. Benché l’Italia sia un Paese unito da anni, in cui gli squilibri geografici vanno diminuendo, questa continua ad essere una grande allegoria del successo e della scalata sociale.

Rino è un uomo che, nonostante la lunga carriera a Milano, non ha mai perso l’accento calabrese, e porta sempre la sua Calabria con sé. Nei modi di fare, negli sguardi ai giornalisti, nelle risposte a certi dirigenti, Rino continua ad essere il ragazzo di un tempo, anche se mai fuori alle righe. Per lui vale certamente la classica espressione del cinema: “Il successo, non lo ha cambiato”. La pancia del tifoso lo sente, il pubblico vede in Gattuso i valori dello sport come passione genuina, come sfida sfrontata alle difficoltà quotidiane, come impegno a migliorarsi ogni giorno, non importa quale successo hai conseguito ieri.

Ringhio

Il secondo archetipo sta in quel soprannome: “Ringhio”. Non tutti gli campioni della nazionale di calcio hanno avuto la fortuna di essere identificati con la grinta e la combattività, come Rino Gattuso. Alcuni, anzi, sono stati percepiti come presuntuosi, altri come poco attaccati alla maglia, e così via. “Ringhio” definisce una caratteristica temperamentale del calciatore, che è anche dell’uomo: è la garanzia che “da qui non si passa, se non sul mio cadavere”. E cosa sogna di più il tifoso, se non vedere nel suo idolo le proprie stesse fatiche quotidiane, le proprie difficoltà di sopravvivere in un mondo feroce, la propria condanna a spendere tutto se stesso ad ogni nuova sfida?

E poi aggiungiamo un altro elemento, Rino Gattuso per primo ha alimentato questo mito, con la sua modestia (anche questa da fuoriclasse). Egli ha sempre detto di come, essendo inferiore agli altri tecnicamente, ha dovuto allenarsi più di loro, per poter competere alla pari. Ma davvero pensiamo che Rino Gattuso fosse inferiore ad altri? Un campione che ha vinto, tra l’altro, due Champions League e una Coppa del Mondo, era davvero inferiore a qualcun altro? O forse in questa modestia, in questa perseveranza, per l’appunto in questo soprannome, non sta racchiusa tutta la sua grandezza?

Questi sono alcuni aspetti del Gattuso “pubblico” che lo hanno reso grande agli occhi del pubblico. Certamente ce ne saranno altri che definiscono il Rino “privato”, ai quali noi non abbiamo accesso. Possiamo però dire, senza ombra di dubbio, che è stato fortunato chi ha potuto incontralo e conoscerlo. Probabilmente Ringhio avrà dispensato sorprese anche alle persone che hanno condiviso con lui i momenti più difficile della sua vita.

Come piacere agli altri e avere successo (in due mosse).

Nel tentativo di piacere agli altri, in genere, tendiamo a compiere un errore: nascondiamo i nostri limiti, fino al punto di dimenticare di averne. 

È umano, ma certamente anche strategico, fare leva sui nostri punti di forza quando vogliamo fare breccia nel cuore, o nella mente, di qualcuno. Tuttavia il processo è pieno i ostacoli, molti dei quali piazzati sulla strada proprio da noi stessi. Il primo, e più infingardo, riguarda la consapevolezza dei nostri limiti, o, se vogliamo, dei nostri punti di debolezza.

Avere fiducia in noi stessi…

Ciascuno di noi ha, (o dovrebbe avere) una buona considerazione di sé. Per alcune cose crediamo di essere i migliori, riteniamo di meritare ammirazione infinita, di essere speciali, e così via. Questo è parte di una soggettualità sana e completa, anche perché ritenere di valere poco, di meritare meno di quello che si ha, o credere di restituire agli altri meno, rispetto a quello che ci danno, è atteggiamento malsano, che può creare malessere esistenziale profondo. 

Ma anche avere troppa fiducia in noi stessi, può essere pericoloso. In particolare, nascondere i nostri limiti, negarne l’esistenza, ci espone agli attacchi altrui. Prendiamo il mondo del lavoro, e pensiamo, ad esempio, ad una persona non troppo esperta con l’Inglese. Se nasconde questo suo limite, e anzi si comporta come se non lo avesse, si espone al rischio che qualcuno possa assegnarle mansioni che ne prevedano l’uso disinvolto. O, peggio ancora, che qualcuno possa utilizzare questa lacuna per metterla in difficoltà. Al contrario, questa persona potrebbe invece riferire il suo limite con disinvoltura, magari ridendoci sù, e chiedere ai colleghi di essere aiutata quando c’è da usare l’Inglese. In questo modo difficilmente le sue difficoltà le si ritorceranno contro. 

Lo stesso discorso si può fare quando intendiamo piacere a qualcuno, nel lavoro o nella vita privata. È molto pericoloso fare approcci senza avere presente su quali punti possiamo fare leva, e su quali invece occorre fare attenzione.

…ma riconoscere i nostri limiti 

Per fare questo piccolo, ma importante, passaggio, occorre sapere riconoscere i nostri limiti, e non viverli con vergogna. In altre parole, dobbiamo lavorare sul narcisismo, ossia sull’idea che abbiamo di noi stessi come di persone amabili e desiderabili, da cui gli altri avrebbero solo da imparare. 

Riconoscere di avere delle mancanze o delle lacune, e individuare chi tra gli altri è più bravo di noi, garantisce due ordini di risultati. Anzitutto, tenere la partita su un piano a noi congeniale, evitando che finisca su dimensioni in cui siamo impreparati. E poi, cosa tutt’altro che secondaria, ci apre alla possibilità di migliorare, di apprendere, in una parola, di crescere. E nel lavoro, come nella vita privata, non è caratteristica da sottovalutare. 

Adolescenti in vacanza. Religione, sacro, spiritualità.

Durante le vacanze gli adolescenti restano lontani da percorsi di crescita spirituale, religiosa, o da agenti di formazione interiore. Ma questo è un errore. 

Le domande sul senso ultimo dell’esistenza sono più frequenti nell’adolescenza che nella vita adulta: l’adulto ha, infatti, una vita spirituale più stabile e matura del ragazzo, il quale, invece, è per sua natura inquieto, tormentato, dubbioso.

La crescita spirituale 

La crescita spirituale, quale che sia, è per l’adolescente un elemento essenziale della sua formazione, e va sostenuta e incoraggiata. Essa è elemento essenziale per due ordini di motivi. Da un lato, avere convinzioni religiose strutturate (mono o politeistiche, buddiste, atee, agnostiche ecc…) aiuta il ragazzo a orientarsi nel mondo più rapidamente, e a sviluppare buoni livelli di fiducia in sé e negli altri. Questo ordine di motivi interessa i responsabili dei percorsi spirituali, non sono io a dovervi fare riferimento, ma dal mio punto di vista posso dire che è molto importante. 

Dall’altro lato, un ordine di motivi per me molto più interessante, è quello che definisce il sacro e il rapporto con ciò che è idealizzato o inviolabile. Non mi riferisco qui al superamento del paterno, che definirò in altra sede, quanto alla definizione interiore, mentale, di limiti legati, sostanzialmente, all’umano. Il sacro, per l’appunto, come qualcosa che viene idealizzato, rispettato, in quanto al di sopra della nostra immediata disponibilità.

Il sacro

Sacro, in adolescenza, può essere il rapporto con il gruppo di pari, il senso di appartenenza ad una scuola, e alla sua storia pluriennale, oppure l’identificarsi con una squadra di calcio. Certi giovani imparano il rispetto per gli altri incontrando coetanei allo stadio, facendo scambi di sciarpe, di maglie o gagliardetti. La passione, il rispetto, la fede quasi religiosa, che si mette nel seguire una squadra di calcio, apre molti all’incontro con l’altro, visto non come nemico, ma come uno che ha la stessa nostra passione, ma per colori diversi. Ancora, ci sono adolescenti che collezionano le divise di sportivi famosi, nell’idealizzazione quasi mistica delle loro imprese: anche questo è un modo di costruire nella mente un livello di inviolabilità, di rispetto superiore, che per l’appunto può essere definito, in senso lato, come sacro. 

In età adulta, il senso del sacro può svilupparsi, per esempio, nel rispetto per le istituzioni politiche, per i familiari svantaggiati, o per l’importanza e la nobiltà del lavoro. Un altro esempio molto importante di mancanza di senso del sacro, è il femminicidio. Vediamo continuamente adulti che fanno stalking, o violenza, alle loro compagne, perché chiedono libertà. La difficoltà di lasciare andare, in questi casi, si mescola con l’incapacità di riconoscere qualcosa di sacro, di insuperabile, come, appunto, il fare del male a qualcuno che vuole lasciarci.  

Il pensiero magico

Un ultimo cenno credo lo meriti quello che possiamo chiamare pensiero magico, o paranoico, o proto psicotico. Affrontare percorsi di crescita spirituale, in adolescenza, ha anche il senso di abituare il ragazzo a fare ragionamenti sulle cause ultime delle cose. Sovente, quando non sappiamo spiegarci un fenomeno, siamo tentati di gridare al complotto. L’appartenenza religiosa, e più in generale la spiritualità, ci aiutano a dare un senso a ciò che apparentemente non ne ha, a confrontare ipotesi, e a scartare le spiegazioni che meno si adattano al sistema di valori che abbiamo interiorizzato. 

Nell’età adulta compiamo queste operazioni in maniera automatica, istantanea, ma è nell’adolescenza che le impariamo, a partire dalle piccole/grandi sfide di tutti i giorni. Ecco, quindi, un altro motivo per favorire, e non ostacolare, l’incontro degli adolescenti con le religioni e la spiritualità, anche nei periodi di cambiamento della routine, come ad esempio durante le vacanze estive.     

Come sostenere il malato di cancro?

Il(/la) paziente oncologico compie in solitaria un viaggio (il più delle volte) a senso unico. Egli (ella) sa, intimamente, che quello che sta succedendo dentro, è fuori dal suo controllo, e dal controllo di quanti lo circondano. Sa, intimamente, che c’è soltanto un finale plausibile con la storia che sta vivendo, finale che tutti (fortunatamente) negano, ma che è il suo primo pensiero del mattino, e l’ultimo della sera. 

In cerca di un testimone 

L’errore più grande che in genere si fa (in buonafede) con questo paziente, è considerare la sua malattia come quelle a diagnosi fausta. Sosteniamo un amico con l’influenza dicendo “coraggio, vedrai che fra qualche giorno starai meglio”, e in effetti, poi, è quello che accade. Il paziente oncologico, invece, vede il suo quadro peggiorare nonostante le rassicurazioni, fino a quando non le ascolta più. 

Il (/la) malato di cancro necessita anzitutto di un testimone. Egli (Ella) ha pensieri che non condivide con nessuno, vede cose succedergli intorno, ha sensazioni, percezioni, che tiene esclusivamente per sé. Come sono i luoghi della cura? La stanza delle flebo, il lettino, quanto dura la terapia? Parla con gli altri malati del centro? Cosa si dicono? 

Quanto sarebbe importante non sentirsi solo/a, in quella stanza, in quel corridoio, dentro a quella RNM? Ossia, poter riportare a qualcuno i pensieri che lo/a accompagnano in quei momenti? Lo stesso vale per tutte le attività che quotidianamente deve affrontare, molte delle quali assai spiacevoli o fisicamente dolorose. 

Non allontanare il paziente oncologico

Il mondo interno del paziente oncologico, poi, è costellato da mostri. Quando chiediamo “come stai?”, lo facciamo in genere nella speranza di sentirci dire “va meglio”, ossia come avviene con le malattie a diagnosi fausta. Il/la malato di cancro, invece, non capisce cosa non ci sia chiaro della sua situazione, e non risponde. Ecco che, nuovamente, più che fare domande che rassicurino noi, dovremmo permettere a lui/lei di raccontare cos’ha dentro. Per esempio cosa lo preoccupa, quali sono i suoi rimpianti, cosa avrebbe voluto fare, ecc… So che è difficile, ma c’è la tendenza a rispondere ad un dolore, allontanandolo. Allontanare un paziente oncologico, però, soprattutto se è un familiare, è cosa penosa e fonte di sensi di colpa. 

Parleremo in altre occasioni di altri aspetti relativi a questa malattia. Del corpo, per esempio, e delle sue trasformazioni. Dei familiari, che oltretutto devono fare anche da caregiver. Dei bilanci, o dei drammatici “passaggi di consegne”, che talvolta il malato attua, in fasi molto difficili del suo decorso. Oggi mi premeva ricordare la funzione del testimone. Perché se talvolta fatichiamo ad andare in cantina da soli, pensiamo a quanto sia difficile attraversare in solitaria una fase di vita così complessa, come quella che segue questo tipo di diagnosi. Un’odissea, che il paziente spera, prima o poi, di poter raccontare a qualcuno. 

Adolescenti in vacanza. L’incontro con droghe e alcol.

Non è raro che gli adolescenti facciano il primo incontro con alcol o droghe durante le vacanze estive. Nella compagnia della spiaggia, tra i turisti delle escursioni in montagna, o tra il personale dell’hotel, ecc… c’è sempre un ragazzo più grande che ogni tanto alza il gomito, o fuma qualcosa di diverso dalle sigarette. L’adolescente (e chi lo accompagna) si trova, così, a dover prima registrare, e poi gestire, l’esperienza della trasgressione attraverso le sostanze stupefacenti

Il primo aspetto da tenere in conto quando si parla di droghe e alcol, e direi, a questo livello, il più determinante, è quello del rapporto con il gruppo. L’adolescente è alla perenne ricerca di un espediente per fare breccia nel cuore dei suoi pari, nonché nel cuore di qualcuno in particolare tra di loro. Per questo è portato a prendere e lasciare rapidamente una grande quantità di iniziative, (leggere libri importanti, giocare a tennis, studiare lingue difficili) che raramente lasciano il segno. 

L’incontro con le droghe, invece, può lasciare un segno indelebile, per questo è importate conoscerlo, ed essere pronti ad affrontarlo, perché possa restare nell’ambito dei tentativi, delle prove, che si fanno, per quanto non a ragione. 

Il rapporto con il gruppo dei pari è un importante rimando su quanto piacciamo agli altri. Così, per esempio, se in una compagnia tutti hanno un tatuaggio, e insistono affinché chi non ne ha, provi a farne uno, questi potrebbe lasciarsi convincere, per il solo obiettivo di sentirsi accettato. Allo stesso modo se un gruppo di amici, ad una certa ora della sera, ordina una seconda birra, o gira una sigaretta con la cartina di riso, anche chi non ne avrebbe voglia potrebbe farsi trascinare, per non sfigurare. 

Quanto è importante essere accettati da quella, o quelle persone? Che peso avrebbero nella nostra vita domani, una volta terminate le vacanze? E tra loro, quella ragazza o quel ragazzo che a noi piace tanto: è così importante il suo giudizio? Crescere è un fatto individuale, non c’è una scuola che lo insegni, se non quella della vita quotidiana. Evitare gli errori è impossibile, specie in ambito di droghe e alcol. Ma saperli riconoscere e analizzare, e possibilmente fare in modo di non ripeterli, è una responsabilità assolutamente individuale. 

Adolescenti in vacanza. L’amore estivo come prova dell’esistenza di sé.

Una delle sfide più difficili per gli adolescenti durante le vacanze è sopravvivere all’amore estivo

L’innamoramento estivo ha un carattere di coinvolgimento totalizzante, che è tanto più grande e ingestibile, quanto più l’altra persona proviene da una città distante. Invaghirsi di qualcuno che vive lontano ha una doppia funzione, assolutamente vitale per l’individuo. Anzitutto mette al riparo da possibili malintesi circa le aspettative, (se siamo lontani va da sé – più o meno – che alla fine della vacanza dovrà finire anche questo nostro amore). E poi, di conseguenza, questo consente di sperimentare senza paure un amore infinito, idealizzato, assoluto. Non è raro che i ragazzi perdano il sonno pensando alla persona amata, che fantastichino per ore scrivendo messaggi che mai invieranno, e che anzi coprano gli amici di messaggi vocali, in cui cercano di spiegare (anzitutto a loro stessi?), la dimensione della sensazione da cui sono sovrastati. 

Così l’amore estivo, con la sua certezza (sostanziale) di non superare certi limiti temporali, è una grande palestra di esistenza di sé. L’adolescente scopre, nello sguardo, e nella relazione con l’altro, che la propria esistenza va oltre il qui e ora. Da un lato sperimenta dal vivo quell’amore totale di cui ha sentito parlare, o di cui ha forse anche parlato lui stesso, quando ha dovuto spiegare cosa intende per “amare”. Dall’altro lato, cosa tutt’altro che secondaria, sperimenta la capacità di strutturare il mondo a seconda delle sue intenzioni. (Se devo frequentare una persona lontana dovrò parlare con i miei genitori, prendere un treno al sabato pomeriggio, rientrare tardi, fare i compiti dove e quando possibile ecc…). Nonché fare i conti con il pensiero onnipotente.  

Ecco alcune delle ragioni per cui l’amore estivo è la cosa che rimane di più di una vacanza. Perché è come guardarsi allo specchio, ma uno specchio fatto dagli occhi dell’altra persona. E riconoscersi per la prima volta nell’amore dell’altro, è una cosa che non ha prezzo. 

Torino è (stata) granata. Una risposta a Claudio Marchisio.

Una polemica surreale grava su Torino. Claudio Marchisio, ex bandiera della Juventus, ha affermato che i tifosi granata sono l’anima della città. I sostenitori juventini, secondo il bravo centrocampista, sotto la Mole quasi non esistono, e quei pochi sono poco rumorosi. Insomma, come diceva il vecchio adagio, Torino è granata.

A parte il viatico implicito, per i proprietari della società bianconera, a poter infine delocalizzare anche questa loro attività imprenditoriale, la discussione, oltre che di cattivo gusto, perché fatta da un ex simbolo bianconero, assume i toni del paradossale.

Anzitutto il sig. Marchisio dovrebbe sapere che ci sono ragioni storiche se a Torino molti simpatizzano per la squadra nata per seconda. Nel 1949, ai tempi della tragedia di Superga, il Grande Torino era paragonabile al Real Madrid di oggi. Vi immaginate se in uno schianto morisse l’intera rosa delle merengues, con Kylian Mbappé, Bellingham e tutti gli altri? Pensate che in Spagna la vicenda passerebbe inosservata? Il 4 maggio del 1949, volenti o nolenti, definisce una cesura nella storia dello sport torinese, una data che ha spostato le simpatie popolari. Unita, ovviamente, anche al fatto che chi vince è più antipatico di chi vince di meno. Ecco la prima lezione che dovremmo tenere a mente, leggendo le parole di Marchisio.

Poi Claudio dovrebbe pensare all’effetto vertigine della lista. Il bambino della pubblicità si meravigliava di vedere un pollo, perché non ci era abituato. Se da giocatore, Marchisio, avesse provato a perdere alcune decide di derby, invece di vincerli praticamente tutti, probabilmente i suoi tifosi avrebbero dato meno per scontate le sue prestazioni. Quindi in fondo è colpa sua, li ha abituati troppo bene. Altra lezione molto importante, che possiamo trarre, da questa polemica: la gente si abitua allo standard che forniamo.

E poi veniamo al paradosso. Per un quarto d’ora (di gloria) granata, vecchie bandiere della Juventus arrivano addirittura a difendere le ragioni dei cugini. Al Filadelfia tutto bene? Nessuno si sente usurpato? È proprio vero che i tempi cambiano, tutto passa o si trasforma. Altra lezione, quindi: anche quella granata, alla fine, non è più una vera religione.