Tiki-Taka e autolesionismo

Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, e guru mondiale del Tiki-Taka, vittima di piccoli gesti autolesivi

I benpensanti hanno subito accusato il famoso personaggio di non essere pago della sua fortuna, ma si sa, e proprio qui vediamo che non è una frase fatta, i soldi, di per sé, non danno la felicità. Nell’impossibilità di commentare i comportamenti e la psiche di Guardiola, perché non è mio paziente, e anche nel caso non avrei certo potuto farlo, vorrei però fare alcune riflessioni sulla rabbia, l’aggressività e l’autolesionismo

Aggressività passiva

Il famoso allenatore ci racconta una cosa molto chiaramente. A tutti i livelli è bene sviluppare una buona consapevolezza della nostra parte oscura, e trovare vie adeguate di espressione e manifestazione di rabbia e aggressività. Perché l’autolesionismo è una modalità estrema di espressione di queste emozioni, e soprattuto individua in noi stessi il colpevole di qualcosa di terribile. Qualcosa per cui meritiamo una punizione. 

Ognuno di noi ha una certa quota di arrabbiature quotidiane, e il modo in cui le superiamo fa la differenza sull’andamento della nostra giornata. 

Una modalità poco conosciuta di espressione della rabbia è l’aggressività passiva. Ci sono situazioni in cui siamo contenuti, bloccati, ma gettiamo saette con gli occhi, o con battute al veleno. Oppure ancora con sarcasmo pungente, colpendo persone che non hanno nessuna colpa. L’aggressività passiva è un modo molto disadattativo di superare la tensione. 

Autolesionismo

Un modo ancora peggiore, è l’autolesionismo. Colpire noi stessi significa anzitutto riconoscere di non essere adeguati alla sfida che stiamo affrontando, perché una sfida non ci può destabilizzare così profondamente. Ma soprattutto significa ammettere di essere stati talmente cattivi da meritare una punizione. 

Pep Guardiola ha confessato un piccolo gesto autolesivo, quello di ferirsi lievemente la fronte con le unghie, per sua fortuna è al riparo da gesti più eclatanti. Ma alcuni individui arrivano a graffiarsi violentemente il viso, a procurarsi tagli sulle braccia, a sfidare la morte in gare pericolose, o anche di peggio. Ciascuno di noi deve avere un buon rapporto con la sua rabbia, viverla ed esprimerla in termini adeguati e non distruttivi. In fin dei conti la rabbia ci racconta qualcosa di noi stessi, ci dice che siamo insoddisfatti, e capire dove e come lo siamo, non è cosa da poco. 

Sadismo e Tiki-Taka

Resta un altro step, quello sportivo. Qualcuno mi ha persino chiesto se il Tiki-Taka non sia, in fondo, una modalità di gioco passivo aggressiva, in cui l’avversario viene sfinito, quasi deriso, senza una vera logica razionale, una sorta di perversione sadica? È una domanda a cui non so rispondere, perché esula dall’ambito della psicologia sportiva. 

Posso dire, invece, che ogni forma di arte, ogni filosofia, ogni concezione estetica assomigliano intimamente a chi le ha ideate. E sono amate anche da chi, in qualche modo ci si rivede. Ma di questo parleremo in un’altra sede. 

Il calo del desiderio nelle coppie stabili: leggerlo, gestirlo, comunicarlo.

Non sempre il calo del desiderio è sinonimo di crisi di coppia. Questa dinamica nelle relazioni affettive è molto diffusa, più di quanto si potrebbe pensare: in genere viene vissuta con paura e vergogna, ma soltanto raramente è il preludio di una separazione, per le ragioni che fra poco vedremo. E proprio per queste ragioni, è bene che venga affrontata individualmente, da caso a caso, senza generalizzare, perché le motivazioni che la inducono possono essere molto diverse. 

Calo “orizzontale” e “verticale”

Anzitutto è bene dividere il problema del calo del desiderio in almeno due grandi capitoli. Da un lato metterei il calo del desiderio in generale, che potremmo qui definire “orizzontale”, ossia la perdita di interesse per la vita sessuale in sé. In questo caso un individuo non sente attrazione verso il partner, ma neppure verso altre persone. Dall’altro lato, invece, metterei la perdita dell’interesse per la persona amata, e potremmo definire questo calo come “verticale”. In quest’altro caso l’individuo sente attrazione per altre persone, oppure anche per altre persone, e questa cosa lo inquieta, al punto da renderlo confuso sul da farsi, cioè non è sicuro di voler interrompere la relazione. 

Il calo orizzontale potrebbe essere dovuto ad una serie di cause non necessariamente legate all’altra persona, intendo se non marginalmente. Ossia, un individuo può vivere una fase di forte stress lavorativo, o un lutto familiare, oppure ancora l’effetto ritardato di uno di questi eventi. Altrimenti può attraversare una fase depressiva, o essere colpito da ansia e avere attacchi di panico, ecc… In tutti questi casi l’attività sessuale, in quanto attività di relazione con gli altri, potrebbe subire una diminuzione, così come la vita sociale nel suo insieme. Vale a dire le cene con gli amici, le serate in discoteca, e così via. A tutti è capitato di essere meno socievoli in determinati frangenti della vita, e sappiamo che non avere voglia di vedere quel determinato amico per un certo periodo, non corrisponde automaticamente a voler rompere l’amicizia con lui. 

Il calo verticale, invece, merita un discorso diverso. Scoprire che il partner non è più oggetto di fantasie, mentre lo diventa, invece, un altro individuo, potrebbe essere una cosa molto difficile da gestire. Ma anche in questi casi non è necessariamente l’inizio della fine. In genere siamo attratti da qualcuno anche per ragioni “mentali”, ossia perché ci affascina al di là dell’aspetto fisico. Per esempio si muove in un certo modo, è molto acuto nel parlare, cose di questo tipo. Avere un’infatuazione “mentale” per una persona può determinare il calo dell’interesse per il partner. 

Altri agenti perturbanti potrebbero essere l’orientamento religioso, o politico, oppure la scoperta di essere attratti da persone con orientamenti sessuali diversi. Anche in questi esempi non è possibile generalizzare, e proprio per questo ho sottolineato come ogni caso vada valutato e affrontato separatamente. 

Comunicazione social

Qualche parola a parte va spesa riguardo alla comunicazione in coppia. Sembrerebbe scontato ritenere che se abbiamo un calo di desiderio, il partner dovrebbe automaticamente accorgersene. Le cose, purtroppo, non stanno in questi termini. Gli amanti vivono sovente nell’illusione di saper capire l’altro da uno sguardo, a volte da un gesto. Ma sovente quello che crediamo di cogliere, non è che la nostra stessa volontà, proiettata nell’altro. Così è molto importante, ancorché difficile, trovare canali di comunicazione adeguati, o, per meglio dire, efficaci. Ma per fare questo, se mi passate la polemica, i consigli standardizzati dei social network non sono sempre sufficienti. 

Il collega è un narcisista? Ecco cosa fare, e non fare, per difendersi al meglio.

Il narcisismo è una delle reazioni più diffuse alle turbolenze che stiamo attraversando in questi anni. Come diciamo sempre, esistono vari tipi di narcisisti, non tutti ugualmente pericolosi o dannosi per gli altri, ma va da sé che doverci convivere, come in una relazione affettiva, amicale, o tra colleghi in ufficio è talvolta altamente frustrante.

Origini del narcisismo

La frantumazione degli equilibri politici, economici, sociali a cui eravamo abituati in passato, sta determinando una progressiva frammentazione del sé e dell’identità individuale. Questo è molto chiaro dagli orientamenti di voto che vengono espressi alle elezioni (meno polarizzati di un tempo), dalla partecipazione alle manifestazioni religiose (meno assidua), dalla fiducia nel futuro (in caduta libera), e da tutta una serie di altri fenomeni popolari che certamente il lettore può facilmente individuare intorno a sé. 

Per adattarsi a ciò, sono ovviamente possibili diverse reazioni, ma in questo nostro tempo dell’individualismo una delle più comuni è la formazione di tratti di personalità narcisistici. Ossia, un po’ estremizzando, “Le cose vanno male perché nessuno capisce il mio valore.”

Vivere a contatto di un narcisista è cosa estremamente difficile, perché se da un lato questi crede di necessitare ammirazione incondizionata, dall’altro mostra scarsa empatia verso chiunque. Così avere in ufficio un/una collega narcisista può essere un elemento di disgregazione degli equilibri d’équipe, ammesso, ovviamente, che ne esistano. 

Come difendersi?

La reazione più immediata che questi colleghi possono scatenare, infatti, è la creazione (involontaria?, inconscia?) di coalizioni esclusive, che coinvolgano da una parte loro i fans (ovviamente ne avranno) e dall’altra i loro detrattori. Questo tipo di reazione è altamente esaltante per il narcisista, che si sente al centro di contese collettive, ma è anche estremamente pericolosa, in ottica di funzionamento di squadra, perché fa perdere di vista la mission organizzativa.

Una reazione individuale, invece, che qualcuno potrebbe essere portato a ricercare, è quella della rivalsa: sbugiardare le posizioni del narcisista nel momento in cui mostrano la loro fallacia. Ora, siamo tutti d’accordo che questo sarebbe un piatto al sapore di vendetta, per alcuni certamente gustosissimo, ma anche in questo caso farebbe deragliare il gruppo di lavoro rispetto agli obiettivi per cui è sorto. 

Inoltre, mai umiliare un narcisista. Le sue reazioni potrebbero essere sconsiderate, proprio in virtù della rigidità con cui si pone verso gli altri, e dell’ammirazione che pretende di avere come il migliore tra i presenti.

Napuli sul tetto del mondo.

Quando i meridionali arrivarono a Torino negli anni Sessanta, per riempire di braccia quelle stesse fabbriche che oggi emigrano a loro volta, erano chiamati Napuli. Il termine, canzonatorio e genericamente riassuntivo, definisce in realtà il disprezzo che i torinesi di allora avevano per tutta quella massa di italiani, così lontani ed estranei, da poterli racchiudere in un unico sottoinsieme: napoletani.

Napuli

I Napuli a Torino hanno lavorato e pagato le tasse, hanno comprato case, automobili, quotidiani, hanno cresciuto figli, e poi hanno fatto proverbiali rimpatriate al sud, ai loro paesi d’origine, per le vacanze estive. Ma quel termine “napoletani” (che a Milano era “terroni”), li ha feriti e vilipesi, ben più di quanto abbiano mai potuto mostrare. Così, quando alla fine degli anni Ottanta, Totò Schillaci venne ingaggiato dalla Juventus, i meridionali di Torino videro in quel ragazzo il figlio che ce l’aveva fatta, il riscatto della nuova generazione su un passato di stenti e discriminazioni. 

I napoletani avevano già in Maradona il loro eroe, va detto, ma i meridionali tutti arsero immediatamente di orgoglio, quando il ragazzo siciliano (cit. Bruno Pizzul) indossò quella casacca, croce e delizia di ogni italiano. Nella sua prima stagione alla Juventus, Schillaci vinse la coppa Uefa, e quando allo stadio Meazza, contro il Milan, alzò anche la coppa Italia, Azeglio Vicini non poté esimersi dal convocarlo in Nazionale. 

Totò, figlio d’Italia

Fu lì che Schillaci scrisse la Storia. Entrando dalla panchina, e per questo senza pestare i piedi a nessuno, Totò, ex Napuli, ora beniamino di tutti gli italiani, salì letteralmente sul tetto del mondo. 

Della parabola discendente non vorrei dire, perché per tutti noi non ci fu mai nessuna parabola. Totò Schillaci resterà sempre l’emblema di quell’estate magica, con quel suo sguardo rapace di chi ha deciso di farcela. Sguardo che è senza dubbio la prima cosa che ci sale alla memoria, quando udiamo quello che fu davvero la colonna sonora di una grande estate italiana.  

E negli occhi tuoi, voglia di vincere, un’estate, un’avventura in più.”  

L’eiaculazione precoce è un problema? Ecco cosa puoi fare.

Circa un uomo su tre è incorso, almeno una volta nella vita, in questo spiacevole inconveniente. L’eiaculazione precoce è qualcosa di più di un semplice disturbo, perché tocca nell’intimo chi ne soffre, avvilisce la coppia, e soprattutto ferisce il/la partner, che poi è la vera vittima di questa problematica di cui non ha colpa.  

Sei troppo bella 

La prima cosa che si fa, quando si presenta un episodio di eiaculazione precoce, è cercare delle scuse. Credo sia certamente comprensibile dal punto di vista umano, e direi anche una inevitabile e genuina difesa della propria virilità. Sarebbe penoso, infatti, dover ammettere delle responsabilità, in una situazione già di per sé così fortemente imbarazzante. 

Ma a volte, come dice il detto, la toppa è peggio del buco. Questo perché cercare delle scuse blinda la posizione di chi invece dovrebbe fare autocritica, e trovare il modo per superare questo impasse. Lo mette al sicuro, gli consente di cadere in piedi dicendo “non è colpa mia”. Inoltre, e questa è davvero la peggiore delle conseguenze, la classica accusa, travestita da complimento, “sei troppo bella”, scarica le colpa sul/la partner, che si vede beffata due volte. 

Alcune/i di questi partner, infatti, reagiscono con ironia, altri scrivendo subito alle amiche, o peggio a potenziali amanti, ma altri ancora iniziano a covare un senso di inadeguatezza, di sfiducia, di bassa autostima.  

Cosa fare?

L’eiaculazione precoce, quando non è occasionale, è sovente un fatto di significati. Tutti attribuiamo un significato a quello che facciamo, intendo anche significati impliciti, non del tutto chiari neppure a noi stessi, se non nel loro aspetto più generale, per non dire superficiale. 

Così frequentiamo un ristorante dimenticando (apparentemente) che in quella via si sono incontrati i nostri genitori, oppure amiamo un profumo che ci lega a qualche ricordo d’infanzia, che però non sappiamo definire con precisione, e così via. 

Quando l’apparato genitale è privo di disturbi organici, la disfunzione è molto probabilmente legata a qualche significato profondo che a tutta prima ignoriamo. 

Al di là dei consigli pratici che si trovano su ogni sito, quindi, diventa importante indagare proprio quel significato: non solo è il vero responsabile del nostro comportamento, ma è la garanzia certificata che si ripeterà nuovamente, anche con un’altra persona. E non importa quale scusa riusciremo a inventare, o quale lusinga a immaginare. 

Come piacere agli altri e avere successo (in due mosse).

Nel tentativo di piacere agli altri, in genere, tendiamo a compiere un errore: nascondiamo i nostri limiti, fino al punto di dimenticare di averne. 

È umano, ma certamente anche strategico, fare leva sui nostri punti di forza quando vogliamo fare breccia nel cuore, o nella mente, di qualcuno. Tuttavia il processo è pieno i ostacoli, molti dei quali piazzati sulla strada proprio da noi stessi. Il primo, e più infingardo, riguarda la consapevolezza dei nostri limiti, o, se vogliamo, dei nostri punti di debolezza.

Avere fiducia in noi stessi…

Ciascuno di noi ha, (o dovrebbe avere) una buona considerazione di sé. Per alcune cose crediamo di essere i migliori, riteniamo di meritare ammirazione infinita, di essere speciali, e così via. Questo è parte di una soggettualità sana e completa, anche perché ritenere di valere poco, di meritare meno di quello che si ha, o credere di restituire agli altri meno, rispetto a quello che ci danno, è atteggiamento malsano, che può creare malessere esistenziale profondo. 

Ma anche avere troppa fiducia in noi stessi, può essere pericoloso. In particolare, nascondere i nostri limiti, negarne l’esistenza, ci espone agli attacchi altrui. Prendiamo il mondo del lavoro, e pensiamo, ad esempio, ad una persona non troppo esperta con l’Inglese. Se nasconde questo suo limite, e anzi si comporta come se non lo avesse, si espone al rischio che qualcuno possa assegnarle mansioni che ne prevedano l’uso disinvolto. O, peggio ancora, che qualcuno possa utilizzare questa lacuna per metterla in difficoltà. Al contrario, questa persona potrebbe invece riferire il suo limite con disinvoltura, magari ridendoci sù, e chiedere ai colleghi di essere aiutata quando c’è da usare l’Inglese. In questo modo difficilmente le sue difficoltà le si ritorceranno contro. 

Lo stesso discorso si può fare quando intendiamo piacere a qualcuno, nel lavoro o nella vita privata. È molto pericoloso fare approcci senza avere presente su quali punti possiamo fare leva, e su quali invece occorre fare attenzione.

…ma riconoscere i nostri limiti 

Per fare questo piccolo, ma importante, passaggio, occorre sapere riconoscere i nostri limiti, e non viverli con vergogna. In altre parole, dobbiamo lavorare sul narcisismo, ossia sull’idea che abbiamo di noi stessi come di persone amabili e desiderabili, da cui gli altri avrebbero solo da imparare. 

Riconoscere di avere delle mancanze o delle lacune, e individuare chi tra gli altri è più bravo di noi, garantisce due ordini di risultati. Anzitutto, tenere la partita su un piano a noi congeniale, evitando che finisca su dimensioni in cui siamo impreparati. E poi, cosa tutt’altro che secondaria, ci apre alla possibilità di migliorare, di apprendere, in una parola, di crescere. E nel lavoro, come nella vita privata, non è caratteristica da sottovalutare. 

Adolescenti in vacanza. Religione, sacro, spiritualità.

Durante le vacanze gli adolescenti restano lontani da percorsi di crescita spirituale, religiosa, o da agenti di formazione interiore. Ma questo è un errore. 

Le domande sul senso ultimo dell’esistenza sono più frequenti nell’adolescenza che nella vita adulta: l’adulto ha, infatti, una vita spirituale più stabile e matura del ragazzo, il quale, invece, è per sua natura inquieto, tormentato, dubbioso.

La crescita spirituale 

La crescita spirituale, quale che sia, è per l’adolescente un elemento essenziale della sua formazione, e va sostenuta e incoraggiata. Essa è elemento essenziale per due ordini di motivi. Da un lato, avere convinzioni religiose strutturate (mono o politeistiche, buddiste, atee, agnostiche ecc…) aiuta il ragazzo a orientarsi nel mondo più rapidamente, e a sviluppare buoni livelli di fiducia in sé e negli altri. Questo ordine di motivi interessa i responsabili dei percorsi spirituali, non sono io a dovervi fare riferimento, ma dal mio punto di vista posso dire che è molto importante. 

Dall’altro lato, un ordine di motivi per me molto più interessante, è quello che definisce il sacro e il rapporto con ciò che è idealizzato o inviolabile. Non mi riferisco qui al superamento del paterno, che definirò in altra sede, quanto alla definizione interiore, mentale, di limiti legati, sostanzialmente, all’umano. Il sacro, per l’appunto, come qualcosa che viene idealizzato, rispettato, in quanto al di sopra della nostra immediata disponibilità.

Il sacro

Sacro, in adolescenza, può essere il rapporto con il gruppo di pari, il senso di appartenenza ad una scuola, e alla sua storia pluriennale, oppure l’identificarsi con una squadra di calcio. Certi giovani imparano il rispetto per gli altri incontrando coetanei allo stadio, facendo scambi di sciarpe, di maglie o gagliardetti. La passione, il rispetto, la fede quasi religiosa, che si mette nel seguire una squadra di calcio, apre molti all’incontro con l’altro, visto non come nemico, ma come uno che ha la stessa nostra passione, ma per colori diversi. Ancora, ci sono adolescenti che collezionano le divise di sportivi famosi, nell’idealizzazione quasi mistica delle loro imprese: anche questo è un modo di costruire nella mente un livello di inviolabilità, di rispetto superiore, che per l’appunto può essere definito, in senso lato, come sacro. 

In età adulta, il senso del sacro può svilupparsi, per esempio, nel rispetto per le istituzioni politiche, per i familiari svantaggiati, o per l’importanza e la nobiltà del lavoro. Un altro esempio molto importante di mancanza di senso del sacro, è il femminicidio. Vediamo continuamente adulti che fanno stalking, o violenza, alle loro compagne, perché chiedono libertà. La difficoltà di lasciare andare, in questi casi, si mescola con l’incapacità di riconoscere qualcosa di sacro, di insuperabile, come, appunto, il fare del male a qualcuno che vuole lasciarci.  

Il pensiero magico

Un ultimo cenno credo lo meriti quello che possiamo chiamare pensiero magico, o paranoico, o proto psicotico. Affrontare percorsi di crescita spirituale, in adolescenza, ha anche il senso di abituare il ragazzo a fare ragionamenti sulle cause ultime delle cose. Sovente, quando non sappiamo spiegarci un fenomeno, siamo tentati di gridare al complotto. L’appartenenza religiosa, e più in generale la spiritualità, ci aiutano a dare un senso a ciò che apparentemente non ne ha, a confrontare ipotesi, e a scartare le spiegazioni che meno si adattano al sistema di valori che abbiamo interiorizzato. 

Nell’età adulta compiamo queste operazioni in maniera automatica, istantanea, ma è nell’adolescenza che le impariamo, a partire dalle piccole/grandi sfide di tutti i giorni. Ecco, quindi, un altro motivo per favorire, e non ostacolare, l’incontro degli adolescenti con le religioni e la spiritualità, anche nei periodi di cambiamento della routine, come ad esempio durante le vacanze estive.     

Adolescenti in vacanza. L’incontro con droghe e alcol.

Non è raro che gli adolescenti facciano il primo incontro con alcol o droghe durante le vacanze estive. Nella compagnia della spiaggia, tra i turisti delle escursioni in montagna, o tra il personale dell’hotel, ecc… c’è sempre un ragazzo più grande che ogni tanto alza il gomito, o fuma qualcosa di diverso dalle sigarette. L’adolescente (e chi lo accompagna) si trova, così, a dover prima registrare, e poi gestire, l’esperienza della trasgressione attraverso le sostanze stupefacenti

Il primo aspetto da tenere in conto quando si parla di droghe e alcol, e direi, a questo livello, il più determinante, è quello del rapporto con il gruppo. L’adolescente è alla perenne ricerca di un espediente per fare breccia nel cuore dei suoi pari, nonché nel cuore di qualcuno in particolare tra di loro. Per questo è portato a prendere e lasciare rapidamente una grande quantità di iniziative, (leggere libri importanti, giocare a tennis, studiare lingue difficili) che raramente lasciano il segno. 

L’incontro con le droghe, invece, può lasciare un segno indelebile, per questo è importate conoscerlo, ed essere pronti ad affrontarlo, perché possa restare nell’ambito dei tentativi, delle prove, che si fanno, per quanto non a ragione. 

Il rapporto con il gruppo dei pari è un importante rimando su quanto piacciamo agli altri. Così, per esempio, se in una compagnia tutti hanno un tatuaggio, e insistono affinché chi non ne ha, provi a farne uno, questi potrebbe lasciarsi convincere, per il solo obiettivo di sentirsi accettato. Allo stesso modo se un gruppo di amici, ad una certa ora della sera, ordina una seconda birra, o gira una sigaretta con la cartina di riso, anche chi non ne avrebbe voglia potrebbe farsi trascinare, per non sfigurare. 

Quanto è importante essere accettati da quella, o quelle persone? Che peso avrebbero nella nostra vita domani, una volta terminate le vacanze? E tra loro, quella ragazza o quel ragazzo che a noi piace tanto: è così importante il suo giudizio? Crescere è un fatto individuale, non c’è una scuola che lo insegni, se non quella della vita quotidiana. Evitare gli errori è impossibile, specie in ambito di droghe e alcol. Ma saperli riconoscere e analizzare, e possibilmente fare in modo di non ripeterli, è una responsabilità assolutamente individuale. 

Adolescenti in vacanza. L’amore estivo come prova dell’esistenza di sé.

Una delle sfide più difficili per gli adolescenti durante le vacanze è sopravvivere all’amore estivo

L’innamoramento estivo ha un carattere di coinvolgimento totalizzante, che è tanto più grande e ingestibile, quanto più l’altra persona proviene da una città distante. Invaghirsi di qualcuno che vive lontano ha una doppia funzione, assolutamente vitale per l’individuo. Anzitutto mette al riparo da possibili malintesi circa le aspettative, (se siamo lontani va da sé – più o meno – che alla fine della vacanza dovrà finire anche questo nostro amore). E poi, di conseguenza, questo consente di sperimentare senza paure un amore infinito, idealizzato, assoluto. Non è raro che i ragazzi perdano il sonno pensando alla persona amata, che fantastichino per ore scrivendo messaggi che mai invieranno, e che anzi coprano gli amici di messaggi vocali, in cui cercano di spiegare (anzitutto a loro stessi?), la dimensione della sensazione da cui sono sovrastati. 

Così l’amore estivo, con la sua certezza (sostanziale) di non superare certi limiti temporali, è una grande palestra di esistenza di sé. L’adolescente scopre, nello sguardo, e nella relazione con l’altro, che la propria esistenza va oltre il qui e ora. Da un lato sperimenta dal vivo quell’amore totale di cui ha sentito parlare, o di cui ha forse anche parlato lui stesso, quando ha dovuto spiegare cosa intende per “amare”. Dall’altro lato, cosa tutt’altro che secondaria, sperimenta la capacità di strutturare il mondo a seconda delle sue intenzioni. (Se devo frequentare una persona lontana dovrò parlare con i miei genitori, prendere un treno al sabato pomeriggio, rientrare tardi, fare i compiti dove e quando possibile ecc…). Nonché fare i conti con il pensiero onnipotente.  

Ecco alcune delle ragioni per cui l’amore estivo è la cosa che rimane di più di una vacanza. Perché è come guardarsi allo specchio, ma uno specchio fatto dagli occhi dell’altra persona. E riconoscersi per la prima volta nell’amore dell’altro, è una cosa che non ha prezzo. 

Torino è (stata) granata. Una risposta a Claudio Marchisio.

Una polemica surreale grava su Torino. Claudio Marchisio, ex bandiera della Juventus, ha affermato che i tifosi granata sono l’anima della città. I sostenitori juventini, secondo il bravo centrocampista, sotto la Mole quasi non esistono, e quei pochi sono poco rumorosi. Insomma, come diceva il vecchio adagio, Torino è granata.

A parte il viatico implicito, per i proprietari della società bianconera, a poter infine delocalizzare anche questa loro attività imprenditoriale, la discussione, oltre che di cattivo gusto, perché fatta da un ex simbolo bianconero, assume i toni del paradossale.

Anzitutto il sig. Marchisio dovrebbe sapere che ci sono ragioni storiche se a Torino molti simpatizzano per la squadra nata per seconda. Nel 1949, ai tempi della tragedia di Superga, il Grande Torino era paragonabile al Real Madrid di oggi. Vi immaginate se in uno schianto morisse l’intera rosa delle merengues, con Kylian Mbappé, Bellingham e tutti gli altri? Pensate che in Spagna la vicenda passerebbe inosservata? Il 4 maggio del 1949, volenti o nolenti, definisce una cesura nella storia dello sport torinese, una data che ha spostato le simpatie popolari. Unita, ovviamente, anche al fatto che chi vince è più antipatico di chi vince di meno. Ecco la prima lezione che dovremmo tenere a mente, leggendo le parole di Marchisio.

Poi Claudio dovrebbe pensare all’effetto vertigine della lista. Il bambino della pubblicità si meravigliava di vedere un pollo, perché non ci era abituato. Se da giocatore, Marchisio, avesse provato a perdere alcune decide di derby, invece di vincerli praticamente tutti, probabilmente i suoi tifosi avrebbero dato meno per scontate le sue prestazioni. Quindi in fondo è colpa sua, li ha abituati troppo bene. Altra lezione molto importante, che possiamo trarre, da questa polemica: la gente si abitua allo standard che forniamo.

E poi veniamo al paradosso. Per un quarto d’ora (di gloria) granata, vecchie bandiere della Juventus arrivano addirittura a difendere le ragioni dei cugini. Al Filadelfia tutto bene? Nessuno si sente usurpato? È proprio vero che i tempi cambiano, tutto passa o si trasforma. Altra lezione, quindi: anche quella granata, alla fine, non è più una vera religione.

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