Sesso virtuale: l’eredità spersonalizzante della pandemia

Il Corriere della sera ha pubblicato dati sconcertanti sulla vita sessuale dei ragazzi italiani. Uno su tre praticherebbe soltanto sesso virtuale, mentre più di un milione e mezzo di under 35 non avrebbe mai avuto incontri “in presenza”. C’è una considerazione importante da fare, in merito: il sesso virtuale accentua una forma di narcisismo molto pericolosa. 

Individualismo 

La nostra cultura è individualista. Vuoi perché l’iper competizione è per natura nemica della socialità, vuoi perché tutte le allusioni al collettivo, che sono state bocciate dalla storia, le abbiamo espulse – erroneamente – anche dalla nostra vita privata. Espressioni come “io valgo” hanno fatto la fortuna di spot pubblicitari, proprio poggiando sul quel narcisismo di fondo che coviamo dentro, e che non aspetta altro che un buon assist per saltare fuori. 


Proprio grazie all’assetto strutturalmente individualista della nostra cultura, la pandemia da Covid-19 ha lasciato alcune eredità, alcune delle quali tutt’altro che positive. Una, di cui ho già messo ampiamente in guardia nel mio libro, è lo smart working. Il lavoro ha una natura sociale, se non altro perché un gruppo è qualcosa di più della somma dei suoi componenti. Così il ricorso massiccio al lavoro agile può avere svantaggi in grado di controbilanciarne tutti i vantaggi.


Una è la didattica a distanza (DAD). Riguardo questa ho già sottolineato come per l’apprendimento sia necessario il confronto, tra allievi, come tra allievi e docenti, e il confronto avviene meglio in una classe fisica.  

Un’altra eredità, evidentemente, è il sesso virtuale

Narcisismo autistico

Ho già proposto altrove la differenza tra narcisismo maligno e narcisismo autistico. Mentre il narcisismo maligno può arrivare ad essere distruttivo, il narcisismo autistico si sottrae alla relazione, e si ritira in bolle esistenziali autonome e auto referenziali. Non raramente il narcisismo autistico sfocia nella psicosi


Il sesso virtuale nega la relazione, esalta il narcisismo individualista e autistico. Il ricorso esclusivo a metodologie comunicative a distanza, corrode la percezione dell’altro come valore aggiunto, lo identifica come mezzo. Così come per lo smart working e la DAD, abusare del sesso virtuale decontestualizza il comportamento, riducendolo ad un fatto tra sé e sé.  


Trasforma, in altri termini, lentamente, in narcisisti autistici, ossia in quegli individui che vedono gli altri soltanto come mezzi per raggiungere bisogni immediati e superficiali, ma a cui possono rinunciare nel momento stesso in cui trovano qualcuno più rapido ed efficace nel soddisfarli.  

Umberto Eco, Bauman e Wagner: la fine della liquidità e il nuovo Umanesimo.

In uno scritto del 2015 Umberto Eco citava Bauman e si chiedeva cosa avrebbe sostituito la grande liquefazione, a cui entrambi stavano assistendo. Oggi (2023) abbiamo le idee più chiare: la società liquida, come per raffreddamento, si è scomposta in migliaia di frammenti, anzi milioni, e ai soggetti contemporanei non resta che guadarsi da lontano, delle loro micro isole, e comunicare tramite smartphone.  


La spinta principale in questa direzione è arrivata dalla pandemia, che ha acuito le distanze sociali tra tutti, ricchi e poveri, più istruiti e meno, chi abita territori con maggiori servizi e chi no, ecc…  La pandemia ha innescato problematiche relazionali e psichiche del tutto nuove, come la paura per il corpo, il contatto fisico, la prossimità, o patologie del carattere, o disturbi del sonno, tutte se vogliamo legate all’uso smodato dello smartphone. 


E poi c’è la frammentazione politica, sociale ed economica, data dalle guerre, dalle migrazioni, dal rifiuto dell’ordine mondiale costituito, da parte di miliardi di esseri umani che si organizzano con apparati alternativi.  
La grande frammentazione ha preso il posto della liquefazione, e alla società liquida si sta sostituendo una società fortemente frammentata. In tutto, e infatti vediamo anche una progressiva frammentazione psichica del soggetto del nostro tempo.   


Come se ne esce? Nello scritto citato, Umberto Eco lamentava l’assenza della politica e la pigrizia dell’intellighenzia. Che la politica sia assente dalle grandi discussioni epocali non deve sorprendere, è così dai tempi di Platone. Il populismo, del resto, non prevede pensiero, ma solo invettiva istintuale. L’intellighenzia è pigra? Quando i filosofi smetteranno di fare convegni su Spengler, saremo già tramontati tutti. Quando smetteranno di chiedersi se Heidegger fosse nazista o meno, sarà arrivata un’altra Shoah


La verità è che serve da subito un rinnovato istinto umanista. Non esistono razze, non esistono forse neppure culture. Esiste un unico genere umano, che sta colonizzando il mondo, ne sta spremendo le risorse, e fra poco scatenerà conflitti per contendersi il poco rimasto. Ecco secondo me la vera svolta post liquidità, la rifondazione dell’Umanesimo


Mettere l’uomo, le sue esigenze, anche psichiche, al centro di ogni discussione. E va fatto subito, prima che l’onda lunga del post pandemia travolga tutti con la sua coda di diffidenze, perché incontrare l’altro non porta solo la diffusione del Covid o l’intrusione traumatica.  E va fatto subito, per dimostrare a Umberto Eco, o ai suoi eredi spirituali, che Zigmund Bauman non è solo una “vox clamantis in deserto”. 

La paura del corpo e le relazioni a distanza

Stiamo diventando sempre più bravi nelle relazioni a distanza, e sempre più fobici nel rapportarci agli gli altri in presenza. A ben guardare questa potrebbe essere una conseguenza della pandemia, in cui ciò che inizialmente era innaturale, ossia fare cose con gli altri senza averli vicini, era diventata, per necessità, una prassi. 

Paura del corpo

La tendenza a considerare “invadenti” le persone che ci stanno vicine, e ad evitare comportamenti di eccessiva prossimità come il contatto fisico, l’uso di diminutivi, gli atteggiamenti erotizzati, ci parla di una paura per il corpo e di ciò che evoca. Non sto ovviamente parlando degli abusi, che per quanto il legislatore fatichi a definire in termini giuridici, hanno connotati psichici molto chiari, sia nella vittima, sia in chi li attua. 

Sto parlando del corpo nelle relazioni, in tutte le relazioni, non solo quelle affettive. Quando saliamo sulla metropolitana, quando prendiamo il sole in spiaggia, quando viaggiamo con amici, ma anche all’assemblea di condominio, o nello spogliatoio della palestra, o in discoteca, abbiamo con noi un corpo che non possiamo eliminare. 

La cosa, per quanto scontata, è paradossale, perché sui social network, su cui passiamo molto tempo, e su cui incontriamo molte persone, il nostro corpo non c’è. 

Il passaggio dal mondo virtuale a quello fisico, il meatspace, porta evidentemente delle turbolenze.

Un’altra adolescenza

Abbiamo un corpo, quindi, che non possiamo eliminare. È un bel problema, perché sui social network ci stiamo abituando ad una sostanziale assenza del corpo. Pubblichiamo e commentiamo storie, inviamo note vocali, video, immagini: tutto senza fisicità. La ricomparsa del corpo ci spaventa, perché il corpo ha le sue regole, i suoi funzionamenti, se vogliamo le sue esigenze, e ciò che può essere negato, nascosto, o semplicemente taciuto, a distanza, non può esserlo in presenza. 

La variabile “corpo” nel meatspace, in qualche modo, ci richiama alla memoria l’adolescenza, quando per la prima volta abbiamo scoperto che tra noi e gli altri c’era il corpo. Il nostro, anzitutto, ma anche il loro. Come abbiamo superato quella fase? Quali strascichi, conseguenze, questioni irrisolte, ha lasciato alle spalle? 

Tra le conseguenze della pandemia c’è la riscoperta delle relazioni “in presenza”, con il carico di angosce che possono elicitare. Confondere la “prossimità” degli altri con l’“invadenza” nasconde, secondo me, una paura per il corpo e le sue peculiarità che ricordano molto da vicino l’adolescenza. È forse quello il vero buco nero della vita che vorremmo superare, dimenticare, cancellare dalla nostra memoria? 

Il ritorno (romantico?) dell’esistenzialismo

L’uomo del nostro tempo è sempre più frammentato, disagiato, incattivito. Alla base di questa deriva, evidente soprattutto dopo la pandemia da Covid-19, ci sono le coordinate culturali in cui ci muoviamo, sbilanciate a favore dell’informatica e dell’economia

Pragmatici e insoddisfatti

Il pragmatismo (nelle sue varie declinazioni) è la filosofia che permea di sé gran parte dei nostri atteggiamenti (ed entro certi limiti è un bene), ma soprattutto è un ideale che vorremmo raggiungere nostro malgrado. Sovente ci rimproveriamo di non essere abbastanza pragmatici, ossia di non fare fino in fondo ciò che, intimamente, sappiamo essere giusto. 

Ad esempio sappiamo che dovremmo lasciare una città, o un Paese, se le condizioni non sono favorevoli, ma poi subentrano degli ostacoli, o dei sentimenti, e rimandiamo il nostro proposito. Oppure sappiamo che sarebbe furbo, intelligente, adattativo fare un certa scelta piuttosto che un’altra, ma qualcosa ci frena, e non se ne fa niente. 

Se il pragmatismo è uno dei capisaldi della nostra cultura, per riprendere la rotta nella deriva identitaria dovremmo affrontare anche il nodo che lo riguarda. Rivederlo, ripensarlo, se non del tutto abbandonarlo.  

Esistenzialismo? Sì, grazie

Il pragmatismo ignora il rapporto che abbiamo con l’esistenza, per proiettarci verso esistenze future. Eppure la nostra esistenza è oggi, qui ed ora, non domani. E la nostra esistenza, ossia il rapporto che abbiamo con il mondo che ci circonda, non è fatta di credenze, di regole di comportamento da validare, o da piani di azione, ma da relazioni

L’esistenzialismo è andato fortemente di moda nel Novecento, ma è stato derubricato proprio per la sua “ossessione” per l’individuo, per l’attenzione al rapporto tra l’individuo e il mondo, il tempo, la storia ecc… . E non in ultimo, l’esistenzialismo ha indagato il rapporto dell’individuo con il malessere. Heidegger l’ha chiamata angoscia, Sartre l’ha chiamata nausea, ecc… . 

Oggi sappiamo che nella relazione di accudimento originaria abbiamo sperimentato per la prima volta il fatto di esserci, di esistere per qualcuno. Perché qualcuno ci ha ascoltati, si è preso cura di noi. Se parlare del rapporto che abbiamo con l’esistenza è esistenzialismo, ben venga un ritorno all’esistenzialismo, ben venga una sua rinascita. All’interno, per esempio, di quella che da tempo andiamo auspicando, la rifondazione dell’umanesimo.  

Ma l’esistenzialismo di cui parlo è profondamente psicanalitico, è intriso di relazioni. Perché cosa era sfuggito ad Heidegger e a Sartre (forse a Sartre un po’ meno) era il carattere relazionale dell’esistenza. Ossia è quando sappiamo che non ci pensa nessuno, che ci sentiamo davvero inutili, morti, inesistenti. 

Il mio ultimo libro

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Una raccolta di scritti brevi che offre speranza e crescita personale, affrontando temi universali come famiglia, lavoro, sport e attualità. Invita i lettori a scoprire opportunità di miglioramento anche nelle difficoltà, trasformando la fragilità in forza.