Il tramonto del Pragmatismo anglosassone
Disagio, malessere e psicopatologia aumentano a vista d’occhio, insieme alle modalità, sempre più brutali, con cui vengono espressi. Di contro tutti gli ambiti tradizionali in cui incanalare le energie negative, e provare a cambiare la società, sembrano avere perso attrattiva: politica, religione, arte, istruzione. Persino lo sport, da sempre occasione di svago di massa, è ormai soltanto un pretesto per scatenare livori profondi, altrimenti inespressi.
Cosa resta? Resta un soggetto scoperto, fragile, totale preda dei suoi istinti più arcaici. Incapace di individuare modalità costruttive per difendere il proprio sé, che egli sente sempre più esposto, vulnerabile, in via di frammentazione.
Quando andiamo in crisi, in genere è per una concausa di motivazioni. L’essere umano ha una capacità di adattarsi alle situazioni maggiore di altri esseri viventi, per questo quando uno o due aspetti della nostra vita vengono meno, riusciamo a reagire appoggiandoci a quelli che ci restano, fino a trovare un nuovo equilibrio. Invece se nello stesso momento si sfaldano diversi elementi, allora crolliamo. Per questo si dice che la crisi è multidimensionale, perché non è data soltanto da un fattore.
Per capire le ragioni di tanto malessere nel nostro attuale presente, quindi, dobbiamo analizzare diversi fattori, e guardare un po’ indietro. Ad esempio dobbiamo finalmente riconoscere che il Pragmatismo, una delle filosofie su cui abbiamo poggiato (inconsapevolmente?) la nostra esistenza, non si attaglia alla nostra cultura. La fine del secolo americano ci lascia scoperti di modelli culturali adeguati, e nella nostra innata esterofilia cominciamo a guardare a oriente, nella speranza che almeno laggiù abbiano delle risposte efficaci per noi. Ma questo è il punto, in oriente hanno risposte efficaci per loro, come le avevano in USA nel Novecento per gli americani di allora, e non è detto che ne abbiano anche per noi.
Stavolta dobbiamo far da soli, cercare dentro, non fuori, le risposte. E chissà, forse scoprire che una cultura più propriamente europea esiste davvero. Quantomeno nell’incontro tra tradizioni filosofiche e personologiche che non si riconoscono né in quelle più propriamente anglosassoni, né in quelle del medio o dell’estremo oriente.
Alla ricerca del senso dell’essere (e del fare)
Talvolta consideriamo il Pragmatismo come se fosse la ricetta del benessere. Ma il Pragmatismo (Pragamaticismo, ecc…, in tutte le sue varianti), e soprattutto la concezione che a livello più base si tende a farne, non può funzionare per noi. Prendiamo la Brexit, per esempio. Ho sentito analisti politici dire che in seguito alla Brexit non ci sarà nessun problema, poiché i britannici sono pragmatici. Significa che se il tempo dirà che la scelta di uscire dall’Unione europea sarà stata cattiva, essi chiederanno di rientrare. Ecco l’essenza del pragmatismo utilitarista, valutare la bontà di una posizione rispetto alle sue conseguenze. Ossia, non c’è nessun presupposto identitario, nessuna passione condivisa, nessuna identificazione con problemi comuni, ma pura e semplice valutazione pragmatica.
Alle nostre latitudini, d’altro canto, sento sovente dire: “Non fate studiare ai giovani la filosofia o la musica, che non portano da nessuna parte. Fate studiare informatica, ingegneria, fisica.” Altra posizione diabolicamente pragmatica. E’ meglio avere un musicista entusiasta, o un ingegnere svogliato, perché non sente suo il lavoro che fa? E cosa ne pensate di un ingegnere svogliato, che si muove in un ambiente demotivante, non meritocratico e svalutante? Ecco che il ragionamento prende corpo. Il Pragmatismo per noi non funziona (sono pragmatico, se lo affermo?). Abbiamo bisogno di appassionarci, di credere in quello che facciamo, di sentire che è nostro. In una parola abbiamo bisogno di sentire che quello cha facciamo abbia un senso: per noi, per la nostra storia di vita passata, presente e auspicabilmente futura.
Frammentazione
Va da sé che individui che fanno cose non appaganti, ma convenienti, siano individui perennemente sull’orlo di una crisi di nervi. Non a caso anche questa è un’immagine del cinema americano del Novecento. La frammentazione sociale che stiamo vivendo, come ho già sostenuto altrove, sta conducendo ad una società “borderline”, ossia emotivamente instabile, caratterizzata da condotte altamente rischiose per il soggetto, e intrisa di vuoto esistenziale. Non c’è dubbio che l’identificazione massiva con i presupposti teorici del Pragmatismo non faccia che acuire, esasperare, questa frammentazione. In ciascuno di noi convivono le cose che amiamo, e che danno senso profondo a quello che facciamo, e le cose che invece abbiamo dovuto credere, seguire, percorrere, perché l’esperienza diceva che fossero più convenienti.
Per fare qualche esempio si può accennare a individui che hanno sposato la persona sbagliata, pur amandone un’altra. A quelli che fanno il lavoro sbagliato. Andando un po’ più in profondità potremmo dire di quegli individui che hanno scelto di identificarsi con ideali o con immagini di sé che non li rispecchiano, ma che comunque erano più semplici da gestire. Come si vede questa posizione è certamente altamente patogena, perché scinde ulteriormente gli individui, già ampiamente alienati dalle note vicende e trasformazioni del nostro presente.
Così ritengo che per fare fronte alla frammentazione sempre più dilagante dovremmo partire anche da considerazioni filosofiche di base. Una è questa, la filosofia americana non fa per noi. Non rispecchia quello che siamo. Dovremmo guardare un po’ più dentro dento di noi, e stabilire che il senso dell’essere è dato anche dal credere, fare, e rincorrere cose che amiamo e che ci fanno stare bene.