Colleghi: flirt, amori e altre catastrofi organizzative.

Il clima è centrale nell’azione organizzativa, lo sappiamo bene. Un clima pesante o negativo fiacca il morale e rompe la collaborazione, mentre un clima sereno e positivo aumenta il benessere e di conseguenza i risultati del ciclo produttivo. 

Collusioni

Ogni gruppo di lavoro ha dei ‘conflitti di interessi’ nei confronti dei superiori o dell’esterno. In un ufficio, per esempio, i dipendenti avranno la tendenza a fare pause più lunghe o più frequenti di quanto concordato, oppure a usare lo smartphone anche quando non necessario, oppure ancora a limare il turno di lavoro spegnendo il pc qualche minuto prima della fine. Anche in una squadra di calcio professionistica ci sono conflitti di interessi, o in una banca centrale, o nel mondo del cinema e così via: i conflitti di interessi fanno parte delle interazioni lavorative tra persone. 

Così è importante che ci sia un buon clima tra colleghi, ma questa ‘positività’ deve avere dei limiti, per non sbilanciare l’azione complessiva in favore dei conflitti di interessi, ossia della ‘collusione’ tra colleghi. 

Una collusione abbastanza frequente nel mondo del lavoro è quella dei flirt o delle relazioni di coppia. In genere le persone vanno a lavorare per ragioni diverse da quelle relazionali o sessuali, ma questo tipo di ‘accidente’ esiste perciò è bene parlarne.

Non è detto che i flirt nascano dove il clima è migliore. A volte è vero il contrario: possono sorgere come reazione umanizzante in contesti difficili o particolarmente conflittuali. 

Contesti troppo facilitanti: gestire il conflitto 

In questo caso la fine di un flirt non potrà impattare molto sul clima perché è già altamente deteriorato, il problema riguarda quei contesti particolarmente predisponenti le relazioni informali.

Nel titolo parlavo di catastrofi organizzative. Ovviamente non volevo dire che quando sul lavoro nascono amori sia una catastrofe, tutt’altro, ma volevo mettere a fuoco un aspetto specifico: i contesti troppo facilitanti non sono abituati al conflitto

Alcuni ambienti sono costruiti sull’informale e sulla simmetria: vengono favoriti tutti i comportamenti atti a accorciare le distanze tra colleghi. In questi contesti è facile trovare persone che si frequentano dopo il lavoro, o che parlano tra loro di cose private. Il vero problema di questo modo di operare è il conflitto. 

Tutti sappiamo che raramente le relazioni affettive terminano senza screzi, per questo motivo un flirt in un contesto facilitante può diventare una piccola catastrofe organizzativa. 

Se una delle due parti patisce in maniera abnorme la rottura, può coinvolgere i colleghi (come da prassi dei contesti facilitanti) in polemiche trasversali, trasformando il clima in una palude a cui, per l’appunto, non si è abituati. 

Un buon clima è centrale nell’azione organizzativa, ma per evitare che nascano troppe collusioni un certo livello di sano e propositivo conflitto può essere pur sempre positivo. 

L’abbandono e le sue implicazioni

Quando l’abbandono descrive la ripetizione di un trauma passato è certamente più doloroso e difficile da superare. Quelle che chiamiamo le separazioni premature, o perdite precoci (early losses) scavano nell’individuo una solitudine carica di ansie, angosce e sensi di colpa.

All’inizio, come diceva Freud, un bambino sceglie una figura di riferimento e la investe di energie vitali, per orientarsi nella crescita e identificarsi in un modello vincente. Quando la perdita riguarda questa figura fondamentale il bambino si trova davanti al baratro dell’ignoto. A questi bambini può servire molto tempo per definire la propria identità senza una figura simile, ma la cosa peggiore è che quando nella loro vita vivranno un altro abbandono (non fatevi illusioni, ci passiamo tutti) la ripetizione potrà scatenare i fantasmi di un tempo. O se preferite la metafora neurologica, l’attivazione di quelle aree sottocorticali potrà fare emergere le stesse sensazioni della separazione originaria.

Una seconda implicazione è quella della teoria su di sé. Quando l’abbandono viene letto attraverso la lente della colpa, ovvero ‘Sono stato abbandonato perché non sono abbastanza buono, ho fatto qualcosa di sbagliato’ o simili, la ripetizione dell’abbandono riattualizza la teoria su di sé. Una teoria su di sé è talvolta una narrazione interna silente e preconsapevole, un insieme di sensazioni non del tutto esplicitate che conducono però a conclusioni rigide e definitive del tipo ‘Se anche questa volta sono stato abbandonato, allora è proprio vero che non valgo, non sono degno di amore’ e simili. Questo tipo di narrazione interna basata sulla colpa può condurre l’individuo a percorrere strade diverse: da quelle riparatorie, (ad es. volontariato) a quelle che mirano a colmare o spegnere il vuoto (shopping compulsivo, dipendenze, e simili).

Ripetizione della perdita precoce e riattivazione di una certa teoria su di sé sono pertanto due delle principali implicazioni dell’abbandono.

Ce ne sono altre, ma le metterò a fuoco in un secondo momento.

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