All’interno di un progetto di Sloweb, l’associazione che promuove l’uso responsabile degli strumenti informatici, del web e delle applicazioni Internet, ho tenuto, insieme a Giovanna Giordano, una conferenza dal titolo “Luci e ombre nella sanità digitale.”. Riassumo qui i temi principali dell’intervento, a cui è seguito un interessante dibattito, che per ragioni di spazio, però, non potrò riportare.
Il digitale è entrato in ogni ambito della nostra vita, dal lavoro, all’istruzione, dai rapporti sentimentali, alla militanza politica, allo svago, e, naturalmente, anche alla sanità. L’intelligenza artificiale (AI), e più in generale tutto ciò che è “digitale”, in ambito sanitario, ci inquieta particolarmente, e per questo è bene parlare da subito dei vantaggi, degli svantaggi, e soprattutto dei fantasmi che le nuove applicazioni ci suscitano.
Abbiamo sempre avuto un rapporto di fiducia personale con il nostro medico, basato sul fatto che ci conosca meglio di chiunque altro. Sa bene quali malattie abbiamo avuto nel corso degli anni, quali hanno avuto i membri della nostra famiglia, e ha sviluppato una modalità complessiva di accudimento nei nostri confronti, non legata soltanto ai sintomi, una modalità che tenga conto anche dello stress, delle preoccupazioni del momento, ecc… .
La rivoluzione digitale mette parzialmente in crisi questo modello, e nel moltiplicare le opportunità diagnostiche, ci allontana dal medico, frammentando di conseguenza la fiducia che nutriamo in lui (lei) e nelle soluzioni che ci consiglia.
Curarsi con Google
Anzitutto è bene sottolineare come il digitale stia portando innovazioni tecniche e opportunità prima neppure immaginabili: pensiamo alle protesi, alla robotica, alla chirurgia da remoto, ecc… . Tuttavia, uno degli aspetti più pericolosi oggi, è la possibilità di rintracciare sul web informazioni su sintomi, diagnosi, tecniche terapeutiche, e simili. Tutti abbiamo cercato informazioni sulle malattie dei nostri cari, consultando un vocabolario o un’enciclopedia medica, ma la ricerca sullo smartphone è cosa differente.
Quando un tempo correvamo a casa, spaventati, dopo un incontro col medico, attingevamo a fonti di cui conoscevamo la validità. L’enciclopedia edita dalla grande casa editrice, il dvd del luminare del famoso ospedale, al più gli appunti del corso di primo soccorso fatto al lavoro, ecc… . Forse non erano fonti aggiornate, ma erano certamente valide, ne potevamo certificare la qualità. L’importanza delle fonti, come in ogni ambito del sapere, non è cosa secondaria.
Se oggi in preda all’ansia apriamo Google, e cerchiamo informazioni mediche, il più delle volte ci infiliamo in un vicolo cieco. Anzitutto perché non sappiamo quali siti siano più credibili di altri. Un motore di ricerca che ci presenta una pagina, non conosce la validità di ciò che quella pagina contiene. E poi ci infiliamo in un vicolo cieco perché Google non ha studiato medicina. Un medico fa buon uso delle informazioni reperite su internet, perché le combina con la sua competenza medica, la sua esperienza, e con quello che sa di noi. Solo un professionista è in grado di usare correttamente i risultati di una ricerca in rete.
La psicosi da algoritmo
Un altro aspetto controverso della nuova epoca digitale, è la fiducia che abbiamo nei medici che adoperano strumenti nuovi e ancora in via di perfezionamento. Diamo loro la stessa fiducia di un tempo? Quando il medico appoggiava l’orecchio sulla nostra schiena, e diceva “dica trentatré”, o quando ci metteva due dita sul polso, e guardando l’orologio misurava la frequenza cardiaca, avevamo in lui (lei) una fiducia cieca. È lo stesso ancora oggi, quando in equipe osservano dentro di noi, ma non guardano verso di noi, ma lo schermo di un Pc?
E poi c’è la psicosi da algoritmo. Il dott. Fabio Mellano, psicologo clinico e neuropsicologo, ha proposto il termine psicosi da algoritmo per definire una specifica forma di psicosi di riferimento, indotta dall’esposizione massiva ai social network. Io sostengo che, in senso lato, questa espressione possa definire tutte le situazioni di accesso indiscriminato, e senza limiti, al web. Per funzionare, un social network ha bisogno di seguire alcuni parametri, essendo impossibilitato a mostrare i post che vengono pubblicati in tutto il mondo, in un determinato istante. Questa modalità di funzionamento, però, può indurre l’utente a ritenere che la realtà stia girando intorno a lui (lei) e che in qualche modo sia una sua stessa emanazione.
Questa distorsione amplifica, ad un livello profondo, inconsapevole, il senso di onnipotenza, nonché il narcisismo, in quanto il fruitore entra in una bolla disegnata su sua misura dall’algoritmo.
Spegnere i dispositivi
A tal proposito torna utile la lezione insegnataci dal giornalista Mario Calabresi. Egli scoprì, durante un’intervista, che l’amministratore delegato di una grande società di telefonia, spegne tutti i dispositivi elettronici al termine della sua giornata lavorativa. Quest’uomo si reca a casa e trascorre alcune ore con la famiglia, fino a dopo cena, quando nuovamente accende i dispositivi e risponde a chi lo ha cercato.
Il flusso delle informazioni, e soprattutto il flusso delle comunicazioni, può essere fermato. Con quali vantaggi? Provare per credere.