Nella fase due della psicoterapia sovente chiedo ai pazienti di fare arte. Non pretendo opere immortali, ma produzione creativa, estro: per quello che riescono e secondo le loro disposizioni.
Uscire dal silenzio e dare corpo a stati interni può essere molto salutare. Ma solo se è anche consapevolezza e autodeterminazione: ossia comunicazione con l’altro, richiesta di riconoscimento.
Ho recentemente visitato la mostra d’arte della fotografa Vivian Maier. Ho notato che la mia richiesta nella fase due della psicoterapia assomiglia alla distanza tra l’operare di questa artista e quello di un altro gigante del Novecento: John Lennon.
La fotografa Vivian Maier ha trascorso la sua vita nel silenzio: quasi nascosta tra la gente, ha scattato migliaia di fotografie che ha praticamente tenuto per sé. E’ l’ideale dell’arte fatta per fare arte, della tensione ideale, della purezza, se vogliamo, dell’artista come poeta del creato. Non c’è la pretesa di dire niente agli altri, di suggerire, di affermare, ma solo il piacere di una narrazione intimistica, come quella di un diario segreto. Per John Lennon è il contrario. Il suo rapporto con l’arte è una passione viva che va oltre il denaro, le convenzioni sociali, il successo. Egli vuole comunicare, costi quello che costi: perdere amici, soldi, o addirittura essere espulso dagli Stati Uniti. L’esigenza comunicativa è la spina dorsale della sua storia artistica: per questo abbandona il suo fortunato gruppo. Non importa se quello che dirà sarà scomodo, l’importante è riuscire a dirlo, essere ascoltati.
La fase due della psicoterapia è quella in cui un individuo guarda gli altri negli occhi: da pari a pari avanza le proprie richieste. Fare arte diventa così la metafora del coraggio narrativo, il coraggio di chi smette di dire e fare solo cose che fanno piacere agli altri, ma comincia a dire e fare anche qualcosa che agli altri può essere scomodo.
Consiglio a tutti di incontrare l’opera di questi due monumenti del nostro tempo. E consiglio a tutti di osservare la differenza tra la qualità della vita di chi trova il modo di dire quello che sente, e di chi invece lo tiene per sé, forse nella paura che possa non piacere.