Sportivi in pensione: povertà e depressione dopo il ritiro dalle scene.

Appendere le scarpette al chiodo, e poi? La difficoltà con cui molti sportivi affrontano il ritiro la dice lunga sulle implicazioni di tale passaggio: inevitabile, ma estremamente doloroso. 

In psicologia del lavoro è nota da tempo la prima fase della pensione, quella fatta di grandi vuoti e smarrimento, in cui gli individui affrontano un cambiamento delle routine quotidiane al quale è difficile adeguarsi. 

Il mondo del professionismo sportivo non è esente da queste dinamiche, com’è facile intuire. Vediamo sovente, infatti, grandi atleti prolungare testardamente le loro carriere, a rischio dell’auto vilipendio, e non tanto per ragioni economiche, quanto per la paura di quella prima domenica, quella in cui gli altri giocheranno senza di loro. 

Rischio povertà

Diverse ricerche mostrano la difficoltà degli atleti ad abituarsi ad una vita ordinaria: a pochi anni dal termine della carriera sono molti quelli che hanno dissipato tutto o in parte ciò che hanno guadagnato. Negli Stati Uniti si è dato il caso di un atleta che ha ‘perso’ un capitale complessivo di 100 milioni di dollari. Oltre oceano di conseguenza già da alcuni tempi sono nate delle agenzie di gestione del patrimonio che aiutano questi ragazzi a gestire le loro fortune. La difficoltà di adeguarsi agli standard di persone più comuni è a mio avviso collegata alla difficoltà di accettare il sopraggiungere di una nuova fase di vita, e in definitiva una diversa identità. Perché si sa, soprattutto da molto giovani si corre il rischio di identificare se stessi con il ruolo che si ricopre. 

Rischio depressione

Marco Tardelli una volta venne presentato da un conduttore televisivo come ‘un ex campione del mondo’. Il famoso commentatore rispose piccato, dicendo che lui e i suoi compagni del 1982 sono tutt’ora campioni del mondo, non sono degli ex’. Il conduttore accettò la correzione e tra gli applausi del pubblico si scusò, riconoscendo in fondo il debito di passione che gli italiani devono a quei ragazzi, ma l’esempio è piuttosto calzante. Per quale motivo è così difficile accettare di essere ‘ex’? La condizione sociale, la reputazione, diciamo pure la popolarità che le imprese sportive garantiscono agli occhi del pubblico sono la parte più difficile da sostenere. Molto più difficile del successo economico. Quando parlavo di identità mi riferivo a questo. Passare da sentirsi osannati, avere onori, sconti al ristorante, ecc… a vivere una vita quotidiana come tutti, fatta di code, multe, bollette e via dicendo, è la cosa più pesante per chi è stato una star. 

Ogni anno il pubblico elegge un nuovo beniamino, e degli ‘ex’ si dimentica un pochino di più. Così il dilemma sull’identità si fa più pesante, perché diventa un dilemma sul valore. Quanto valevo? Chi era il più bravo? E soprattutto, quanto valgo oggi? Siamo così passati alla genesi della depressione: e infatti non di rado questi personaggi si trascurano, o addirittura tentano il suicidio. Quando la gloria sfuma, e la star diventa una persona come le altre, al rischio di finire in povertà si aggiunge il rischio di entrare in una spirale di autocommiserazione e autodistruttività. E’ a quel punto che occorre essere dei veri campioni.  

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