Turin blues: la fine dell’industria e la paura per l’ignoto (l’adolescenza di Torino e la sua prima età adulta).
Tutti sanno cos’era Torino, molti sostengono di sapere cosa sarà. Ma oggi, in questo inizio di decennio che più indefinibile non si poteva, cos’è Torino? E soprattutto, chi e che cosa sono i torinesi?
Il Novecento: industria e smog
La mia generazione ha detestato il grigiore industriale di questa città, regale per vocazione, e provinciale per tradizione, nel confronto mai totalmente digerito con Milano e mai totalmente superato con Napoli e Palermo.
Torino, la terza città meridionale d’Italia, la seconda città del nord, madre del cinema e figlia dell’industria; Torino città dello sport, della magia, della filosofia e, ovviamente, del cioccolato. Quante definizioni l’hanno attraversata, e mai nessuna afferrata del tutto, perché si sa, gli stereotipi, specie da queste parti, lasciano il tempo che trovano.
La mia generazione, dicevo, ha detestato il grigiore industriale di Torino, e a torto: perché così grigia, in fondo, non lo è mai stata. Un po’ altezzosa, questo sì, distaccata, e di conseguenza poco rumorosa. Forse quella sveglia al mattino è stata scambiata per grigiore: il tram nella nebbia, la bugiarda nel borsello, le paste alla domenica dopo messa. Eppure davvero grigia Torino proprio non direi: avete mai visto Bruges la morta?
Dopo aver a lungo disprezzato quel tempo, poi, tutto a un tratto è venuto un giorno: il 10 febbraio 2006. Quel mattino i torinesi della mia generazione non hanno più visto grigio fuori dalla finestra: le Olimpiadi invernali, infatti, hanno dissolto l’intero Novecento di Torino in un istante, come fanno i sogni all’alba.
E’ da quel giorno, però, che molti torinesi rimpiangono la Torino che fu.
Improvvisamente il vituperato Novecento è diventata una bella storia, da raccontare davanti al modem, il focolare postmoderno. Ah quelle domeniche al Balon! Ah il parco del Valentino! Ah Vincenzo Lancia!
Ma anche questo è un errore, anche questo è uno stereotipo da evitare.
La fine dell’adolescenza
L’adolescenza è quel periodo in cui tutto ti sembra possibile. Hai vissuto l’infanzia cullato da altri, guidato da altri, instradato, e poi improvvisamente ti senti protagonista di qualcosa che neppure sai bene. Gli amici ti guardano con occhi diversi, raggiungi risultati che non credevi, vivi in una bolla di euforia e incredulità. Ogni cosa è una novità, anche quello che per gli altri è routine. Poi arriva l’età adulta, e solo lì capisci quali siano i problemi veri. Il Novecento è stata l’adolescenza di Torino, che dopo l’infanzia sabauda ha vissuto un’epoca tumultuosa di crescita imprevista e sproporzionata, esposta al confronto impietoso con le altre grandi città, di cui sovente è stata migliore, pur se nessuno glielo ha mai detto. Così questi ultimi anni torinesi, (il post olimpico, le piste ciclabili, la fotografia) sono la storia di un inizio, più che la cronaca di una fine. Torino non è nata con l’Unità d’Italia, non finirà con la Fiat: quando Friedrich Nietzsche abbracciava i cavalli nelle vie del centro, a Torino c’erano già la Sacra Sindone, l’Accademia delle Scienze, e il Museo Egizio. Per questo la fine dell’industria sarà come la fine del primo amore, quello della discoteca: ci eri affezionato, è vero, ma arriva il giorno in cui scopri che in fondo ti stava stretto.
Avere nostalgia per l’epoca industriale, in altre parole, equivale ad avere nostalgia per l’adolescenza. Quando è passata, è passata: anzi, per alcuni è pure una fortuna. La si può ricordare con piacere o dispiacere, ma non serve cercare di ricrearla, di ripeterla, perché è la storia di una persona che non c’è più tra persone che non sono più le stesse.
Torino e i torinesi oggi sono davanti alle stesse inquietudini del giovane adulto. Finite le feste adolescenziali, cosa fare? Dove andare? Cosa sarò da grande?
Questo Turin blues che si sente ogni tanto nel traffico, questa nostalgia per ciò che non è più, nella paura per qualcosa che non c’è ancora, è l’inizio della maturità: quando gli Altri hanno smesso di dirti cosa devi fare, e gli amici non passano più a prenderti per andare a scuola.